"Frenzy": un'epica storia di un fallimento politico e umano

Piace il difficile rapporto tra due fratelli nella Turchia del terrorismo

"Frenzy": un'epica storia di un fallimento politico e umano

da Venezia

«Una quindicina d'anni fa, quando ho cominciato a lavorare alla sceneggiatura di Frenzy (Follia), pensavo a un film atemporale, ambientato in una Turchia sospesa tra passato, presente e futuro. Siamo una nazione che conosce bene il terrorismo politico e i suoi ricaschi sulla quotidianità, la militarizzazione della vita civile, un clima di sospetto, l'idea radicata di una cospirazione, un complotto persino dietro le nostre disgrazie private, dalla perdita del posto di lavoro al tradimento della persona amata... Nel tempo, l'espandersi del terrorismo internazionale, dalle Torri gemelle all'Afghanistan e all'Iraq, mi ha fatto capire che si trattava di un tema con cui siamo destinati a convivere: il post-primavere arabe, l'Isis, il ritorno, appena due mesi fa, di quella guerriglia curda che nel mio Paese sembrava essersi assopita, me lo hanno ulteriormente confermato. Il rapporto fra noi e la violenza politica è insomma una questione pressante quanto attuale, e il continuare ad usare metodi antiquati non farà che ingigantirla».

Proiettato in concorso, Frenzy , di Emin Alper, è quello che una volta si sarebbe detto un classico da Festival. I critici si ritrovano di fronte a un film d'autore, un cineasta giovane, ma con tutti i referenti, nazionali e internazionali, giusti (Akin e Ceylan, Polanski e Kubrick); i cinefili possono discettare sulla tecnica (le luci, i piani sequenza, il montaggio); il pubblico che frequenta una manifestazione del genere si porta a casa una storia complessa, con molta suspense e un pizzico di thrilling. Fra le pellicole finora proiettate, è una delle più interessanti e, particolare non secondario, non è né velleitaria né compiaciuta.

Racconto di una paranoia generale, quella di uno Stato che non sa più come combattere un terrorismo interno di cui nemmeno i terroristi sanno più le motivazioni, di due fratelli che cercano di sopravvivere proprio in uno di quei quartieri disagiati dove gli attentati sono merce quotidiana, Frenzy è anche una sorta di abdicazione del proprio io. Kadir, dopo vent'anni di carcere, viene usato dal potere come spia; suo fratello minore, Ahmed, è uno sterminatore di cani randagi, applicazione al regno animale della caccia al sovversivo in quello Politico. Il loro ritrovarsi scatena delle reazioni impreviste. Il primo vorrebbe l'affetto di chi in pratica non ha quasi mai visto; il secondo, la cui vita familiare è andata in pezzi, trova in un cane da lui stesso ferito, una ragione per non ammazzarsi e l'animale gli sembra meno estraneo di un fratello che è per lui un perfetto sconosciuto. Più i due non riescono a stabilire un rapporto, più ciascuno comincia a dubitare dell'altro e del mondo circostante. La solitudine, subita e/o cercata, acuisce sospetti e paranoie e carica ogni azione e ogni pensiero di mille significati ambigui.

«Ho cercato di fare un film dove realtà, fantasia e sogno fossero così mescolati da far perdere ai personaggi la cognizione del vero» dice ancora il regista: «Vivono da allucinati, si distruggono senza un perché».

In una Turchia notturna e lunare, piena di spazzatura, pioggia, neve e stracci, dove l'unica vera modernità sono le armi,

ed è la violenza a garantire la sopravvivenza, Frenzy è la storia di un duplice fallimento, politico e umano: lo Stato che trasforma in bombe a orologeria i propri sudditi e alla fine si ritrova a governare solo macerie.

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