Esselunga mette mano alla cassa e salva il bilancio della Scala

Il gruppo Caprotti è il nuovo socio fondatore permanente: ingresso da 6 milioni di euro. Chailly confermato direttore

Esselunga mette mano alla cassa e salva il bilancio della Scala

È di ieri la notizia che Esselunga diventerà socio fondatore permanente del Teatro alla Scala. Per i prossimi cinque anni, il colosso della distribuzione metterà sul piatto scaligero 6 milioni di euro, anche se questo non consente di sedere nel Cda. La ratifica dell'operazione è prevista per il 23 marzo, ma è giusto un iter burocratico perché questa è una realtà che ieri ha consentito al sovrintendente Dominique Meyer di presentare al Cda il bilancio previsionale del 2021 in pareggio ed equivalente a 98,3 milioni. Nei prossimi giorni, verrà inoltre annunciato un altro sponsor che si impegnerà per i prossimi due anni.

Anche il 2021 è un anno horribilis per i teatri: chiusi al pubblico, dunque senza botteghino fino ad ora e con dei bei punti interrogativi sull'immediato futuro. Tuttavia alla Scala il deficit di bilancio sarà scongiurato - o potrebbe essere: aspettiamo dicembre per gioire - grazie agli ammortizzatori sociali, ai ristori, al Fus e a una politica di riduzione dei costi che vuol anche dire rinuncia a operazioni faraoniche. L'ingresso di un nuovo sponsor, l'annuncio di un altro imminente, atti di ulteriore generosità dei mecenati storici stanno facendo la differenza in un teatro che quest'anno tocca il record storico di contributi privati. Da qualche anno, del resto, nel contesto dei teatri d'opera il parco sponsor della Scala è il numero due al mondo, giusto dietro a quello del Metropolitan di New York della fase pre-Covid.

L'altra notizia è che il contratto del Direttore musicale Riccardo Chailly, in scadenza l'anno prossimo, è stato prolungato fino al 2025 allineandosi con quello del Sovrintendente. E già, manager e artista hanno pianificato le prossime quattro Prime della Scala e altri progetti.

Meyer sta traghettando il teatro verso una svolta blu e verde ovvero più tecnologia e sostenibilità ambientale. E il lavoro non manca se - per fare un esempio concreto - pensiamo che fino a dicembre le buste paga dei dipendenti erano cartacee. «Stiamo lavorando a una piattaforma di gestione che renda i processi più fluidi, che permetta - per esempio - il tracciamento di tutto, dagli ordini alle fatture. La digitalizzazione semplificherà la comunicazione fra i vari settori. Abbiamo già digitalizzato gli ordini delle prove che adesso vengono trasmessi elettronicamente». Le poltrone scaligere saranno dotate di tablet dove leggere i libretti in otto lingue, così come tablet saranno posizionati in palcoscenico per una gestione più snella degli spettacoli. «Stiamo digitalizzando anche gli spartiti. Ogni anno mandiamo una montagna di spartiti cartacei ad artisti di tutto il mondo impegnati in nostre produzioni. E loro, di viaggio in viaggio, devono portarsi chili di carta». Del resto, annualmente la Scala consuma ben 10 tonnellate di carta: stop anche a questo, assicura il manager. Si punta poi alla riduzione del consumo energetico anche grazie a un patto con Eni fino all'uso di materiali sostenibili nei laboratori Ansaldo laddove nascono le produzioni col marchio Scala.

In coda al 2020, le anime belle dell'opera accusarono la Scala d'essere la Bella addormentata della situazione poiché tutti producevano mentre lei era siccome immobile. Nel frattempo consegna bilanci in pareggio. Dopo la stasi di novembre, e qualche settimana di dicembre, è tornata a produrre, ma contenendo i costi. Del resto la Scala, come la Fenice di Venezia, per certi versi l'Arena di Verona (ma chiede un discorso parte), sono istituzioni che vivono anzitutto dei propri ricavi e che venendo a mancare inducono alla prudenza oltre che ad aguzzare l'ingegno.

Nella Scala pre-Covid il pubblico pagante contribuiva al 27% del bilancio contro - per esempio - il 15,4% del San Carlo di Napoli, il 10% del Comunale di Bologna o il 10,3% del Massimo di Palermo.

Su 10 euro di bilancio scaligero, 7 vengono da ricavi propri e solo 3 dagli enti pubblici. Una proporzione che è completamente rovesciata nella maggior parte dei teatri italiani: compresi quelli impegnati in produzioni di lusso. A proposito di sostenibilità.

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