Cultura e Spettacoli

Essere un martire della scienza? Fu il trionfo mediatico di Galileo

Il processo al grande astronomo si trasformò in strumento di promozione editoriale. Grazie al giurista Elia Diodati

Essere un martire della scienza? Fu il trionfo mediatico di Galileo

Nessuno ha lasciato nella storia della scienza un'impronta profonda e duratura quanto Galileo. La divulgazione popolare nel corso dei secoli lo ha trasformato in un eroe solitario, costretto in ginocchio all'abiura. Lo schiaccia il papato minaccioso di Urbano VIII Barberini, custode di una visione cosmologica rozzamente oscurantista. Questo cliché centenario, ormai del tutto logoro, intaccato com'è dalle ricerche storiche e dalla riflessione epistemologica, ha recentemente subito un ulteriore colpo. Emerge infatti dall'entourage galileiano un personaggio decisivo: l'oriundo italiano Elia Diodati (1576-1661), influente mediatore culturale che saprà orientare a favore di Galileo l'opinione pubblica europea.

Una premessa: sulla contrapposizione tra Galileo e la Chiesa, oggi chi ha voglia di leggere i documenti sa che in realtà la teoria copernicana era stata accettata dai Papi già decenni prima di Galileo. Urbano VIII appoggiava apertamente il copernicanesimo in nome di una prospettiva strumentalista: scopo dell'indagine scientifica è unicamente pratico, ossia trovare strumenti utili per padroneggiare la realtà fisica. L'uomo non può arrivare a sapere «come stanno veramente le cose». È quindi irrilevante se calcoli e osservazioni della scienza sembrano in contrasto con il dettato biblico.

Una teoria scientifica faceva notare a Galileo il suo amico Urbano VIII - può infatti essere solo strumentale: preziosa per fini pratici (nel caso dell'astronomia ci permette di calcolare ore e anni, navigare col sestante etc.) ma non può arrivare a descrivere la realtà delle cose. Ogni teoria, per proclamarsi realmente vera, deve infatti escludere tutte le altre teorie rivali, comprese quelle future e non ancora enunciate. Un requisito ovviamente impossibile da soddisfare. Lo strumentalismo, con antiche radici in Platone, era da sempre la posizione del Papato. Da essa, tuttavia, il Sant'Uffizio si allontanò man mano che aumentava la pressione dogmatica di Lutero a favore dell'interpretazione letterale della Bibbia, il cosiddetto realismo dogmatico. Le provocazioni di Galileo, col suo realismo scientifico, fecero il resto. Il termine provocazioni non è casuale: l'affermarsi in età moderna del realismo di Galileo dipese essenzialmente da una vera e propria battaglia mediatica, il cui protagonista è oggi per lo più ignoto al pubblico: Elia Diodati appunto. Di professione avvocato, ma ricchissimo, poliglotta e profondamente imbevuto di cultura umanistica, Diodati impiega ogni energia per coltivare contatti e relazioni con i dotti del suo tempo. La sua vocazione è incoraggiare i giovani studiosi, fare da garante per amici e colleghi lontani tra loro, raccomandare autori promettenti a editori in cerca di talenti, promuovere nuove iniziative. Il rapporto tra Diodati e i suoi tempi è stato delineato brillantemente da Stéphane Garcia in Elie Diodati et Galilée (Milano, Olschki, 2004), che ben mette in luce la sua funzione di «doganiere della cultura».

I Diodati provenivano da Lucca, singolare roccaforte calvinista in Toscana. Si erano ramificati in tutta Europa diventando magistrati a Parigi, commercianti a Londra, finanzieri ad Amsterdam, teologi ad Anversa. L'edizione delle Scritture di gran lunga più diffusa nel XVII secolo si chiama Bibbia Diodati, ed esce dai torchi di un fratello di Elia.

Elia si presenta per lettera a Galileo in modo inusuale, come amico d'un amico, tale Giacomo Badovero: una spia, in più morto già da anni. Per lettera Diodati offre pubblicità e sostegno alle pubblicazioni di Galileo. L'unico incontro tra i due avviene in un momento cruciale: sta per andare in stampa il Dialogo sopra i due massimi sistemi, che condurrà allo scontro dottrinale tra Galileo e l'Inquisizione. Il summit tra Diodati e lo scienziato pisano è circondato da un'aura di mistero. Per ben 13 giorni i due s'intrattengono, questa è l'unica notizia trapelata, «su vari arcani della Natura». Dopo la visita dell'avvocato di Ginevra esce il Dialogo, nel quale Galileo sbeffeggia papa Urbano VIII: le opinioni del Papa vengono messe in bocca al personaggio sciocco e goffo di Simplicio. Esposto al pubblico ludibrio, Urbano VIII è costretto ad abbandonare Galileo nelle mani del Sant'Uffizio.

Il ruolo di Diodati a questo punto si allarga a dismisura. Dà pubblicità al caso con tutti i mezzi possibili, sollecita editori, contatta traduttori, diventa una sorta di agente personale dello scienziato.

Alla fine del 1634, appena un anno dopo l'abiura, l'intera comunità scientifica è a conoscenza dei fatti, come per fulmineo contagio. E pensare che solo una trentina di anni prima, praticamente nessuno aveva saputo del rogo di Giordano Bruno. Diodati fa da filtro e coordinatore con un'intera squadra di ammiratori, seguaci, difensori di Galileo, che a loro volta fungono da volàno in tutta la Repubblica delle Lettere: Parigi, Leida, Lione, Strasburgo e Anversa. Un interdetto vaticano, nell'Europa protestante, è la migliore delle pubblicità. A questo punto si muove l'ala dura dell'Inquisizione, interessata lei sì a una severa condanna dello scienziato. Per questo qualcuno ha suggerito che Galileo, al momento in cui gli è stata chiesta l'abiura, abbia riso: l'abiura ridens di chi ha a cuore soprattutto la gloria futura. «Due sole cose», scrive lo scienziato all'amico Diodati, «importano più d'ogni altra: la vita e la reputazione».

Le vendite dei libri di Galileo esplodono: in Germania il filologo Bernegger, che traduce Galileo in latino, aveva da trent'anni in magazzino pile su pile di vecchi libri galileiani; ma quando monta lo scandalo, incolla una data recente sui frontespizi, per simulare una nuova edizione, e inonda le librerie. In Olanda gli Elzevier, editori di Galileo, che avevano stampato poche copie dei Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze rimettono in moto i torchi. Diodati accosta Galileo a Prometeo, glorioso eroe della mitologia greca. Galileo ricambia chiamandolo «il mio amatissimo e vero amico». La battaglia tra strumentalismo e realismo viene vinta a suon di pamphlet e gazzette. Conta il volume di fuoco, la ripetizione ossessiva, il consensus omnium.

È forse questo il peccato originale della scienza moderna: con Galileo non si è più accontentata d'essere scientifica, e ha voluto farsi anche mediatica.

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