La fiction sul perdente di successo

La fiction sul perdente di successo

Celebri le immagini, sfocate e tremolanti, del filmato anno 1908. Un ometto coi baffoni e le gambe storte entra barcollante nello stadio. Sta per vincere la maratona alle Olimpiadi di Londra. Ma è stremato. Sbaglia direzione, torna indietro, cade esausto una prima volta, una seconda, una terza. A pochi metri dall’arrivo un giudice, impietosito, lo aiuta ad alzarsi e a tagliare il traguardo. Un gesto fatale, che gli costerà la squalifica. Ma che - paradossalmente - catapulterà Dorando Pietri nell’empireo delle leggende dello sport. «Non credo esista un altro campione così celebre non per aver vinto, ma per aver perso» commenta Luigi Lo Cascio. Metafora che sostiene tutto Il sogno del maratoneta: intensa fiction (diretta da Leone Pompucci, domani e lunedì su Raiuno) in cui Lo Cascio presta muscoli, grinta - e fiato a quel leggendario «perdente di successo». «Quand’ero ragazzo, e noi tutti in famiglia ci appassionavamo di atletica leggera (mio padre corse la 50 chilometri con Dordoni e Pamich), Pietri era il mio mito. Interpretandolo ho capito perché. La sua storia rappresenta il desiderio di riscatto che l’uomo coltiva attraverso i suoi sogni. Piccolo, brutto, poverissimo (i genitori erano contadini nella «bassa» emiliana vicino Carpi) il baffuto ometto si prese la sua rivincita sul destino con l’unico mezzo a sua disposizione. Le gambe. E una divorante passione per la corsa». Corre, Dorando: corre per conquistare una bella operaia (Laura Chiatti), corre per sfidare il più aitante campioncino locale (Fabio Fulco), corre per farsi il fiato col ruvido allenatore (Alessandro Haber); corre perfino per far riassumere gli operai che il padrone ha licenziato, perché hanno saltato il turno per andare ad applaudirlo. «In lui è l’entusiasmo per la corsa in sé, per l’ebbrezza che quel modo di sentirsi liberi, gli comunica, che quasi oltrepassa lo scopo di arrivare primo». E quando primo arriva davvero, a Londra, lo squalificano. E il mondo si commuove. Per ben due volte battè l’americano Hayes, cui avevano “regalato” il suo oro olimpico». Così, con poetica e minuziosa ricostruzione d’epoca, al ritmo di un’ariosa ballata, Pompucci canta la metafora di Pietri. E Lo Cascio gli imprime forza ed umore. «Il piccolo Dorando (un metro e cinquantanove d’altezza - ndr) era un matto, pieno di estro, di passione. Come tutti gli emiliani. E questo spiega un’altra metafora di cui è splendido esempio». Quando corre, infatti, più che cogli altri il maratoneta gareggia con sé stesso.

Come in fondo fa l’uomo, nella corsa della vita. «Al massimo della sofferenza c’è una voce che gli sussurra: “Fermati: sei morto”, “Non ce la fai più”, “Molla tutto”. Ma poi, suprema, arriva quell’altra voce. Quella che dice: “Resisti”. Lui ha seguito quella».

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