Il film del weekend: "Indivisibili" di Edoardo De Angelis

Un film amaro e magnifico, di grande impatto emotivo, in cui si resta continuamente sospesi tra orrore e dolcezza

 Il film del weekend: "Indivisibili" di Edoardo De Angelis

Presentato all'ultimo Festival di Venezia nella sezione Giornate degli Autori perché rifiutato dai selezionatori del concorso, "Indivisibili", terza opera di Edoardo De Angelis (dopo “Mozzarella Stories” e “Perez"), è stata la rivelazione italiana della kermesse e per un solo voto non è purtroppo diventato il nostro candidato ufficiale alla prossima corsa agli Oscar.

È una di quelle rare pellicole in grado di appassionare, emozionare e disturbare nella stessa misura. Protagoniste sono Viola e Dasy (Angela e Marianna Fontana), due sorelle siamesi attaccate all'altezza del bacino. Queste fanciulle in fiore, ad un passo dal diventare maggiorenni, vivono con i propri genitori in un tratto fatiscente del litorale campano e si esibiscono come cantanti a feste e matrimoni, dando da vivere a tutta la famiglia. Il padre (Massimiliano Rossi), autore del repertorio di stampo partenopeo delle ragazze nonché loro agente, ha il vizio del gioco, mentre la madre (Antonia Truppo) è dipendente dalla marjuana. Oltre ai genitori, a sfruttarle c'è anche un viscido prete (Gianfranco Gallo), che fa leva su superstizioni ataviche per proporle come un misto tra sante e portafortuna ai disperati del luogo. La vita di Dasy e Viola è soffocante ma tutto cambia quando un medico (Peppe Servillo) si offre di dividerle, cosa che, alle due, era sempre stato fatto pensare non fosse possibile. Le sorelle iniziano, quindi, una via crucis alla ricerca dei soldi per l’operazione. Nella fuga verso la libertà e la normalità, si troveranno sull'orlo dell'abisso.

La mente va subito a "Freaks" di Todd Browning e alle sorelle siamesi Daisy e Violet Hilton, leggendaria attrazione nell'America degli anni Trenta. Ci sono echi ora garroniani, ora felliniani e un ritorno al neorealismo con l'uso del dialetto e il ritratto fedele di ambienti e umanità di periferia. Questa è una favola amara fondata sul realismo, che avviluppa da subito col suo fascino, a un tempo crudo e poetico, e prende vita da un universo di contraddizioni, a partire da un'estetica in cui il kitsch convive con squarci di onirica bellezza.

"Indivisibili" è un coming of age incentrato su un'adolescenza anomala che racconta la storia d'amore viscerale, è il caso di dirlo, tra due sorelle. La separazione, nel film, è un tema centrale ma soprattutto in senso metaforico: non si allude soltanto a quella fisica, infatti, ma al prezzo psicologico, al dolore, legato al tagliare con la propria dimensione infantile, con i propri rifugi, siano essi la dipendenza decisionale ed economica dalla famiglia oppure una sorellanza simbiotica che si sente tradita ogni qual volta emerga la propria individualità. Eppure, nel loro tentativo di dispiegare le ali, queste due ragazze impareranno anche che ci sono cose "indivisibili" dalla propria autoimmagine, alle quali si può voler restare attaccati al costo della vita come, nel loro caso, la dignità.

La regia è avvolgente e gli interpreti davvero bravi, in particolare Antonia Truppo nei panni della madre è una piacevole conferma e le due gemelle Fontana appaiono una scoperta eccezionale: esordienti eppure magnetiche e credibili più di tante colleghe veterane del grande schermo.

Le canzoni sono di Enzo Avitabile e restano in testa come piccoli tormentoni.

Al soggetto e alla sceneggiatura, Nicola Guaglianone, già firma di "Lo Chiamavano Jeeg Robot", un film che profumava di miracolo ma che, alla luce di questo bis, era forse soltanto l'alba di una nuova splendida fioritura per il nostro cinema.

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