Filosofia, mercato ed eleganza, le molte frecce del Saggiatore

Nel '58 Alberto Mondadori fondò la sigla che tra peripezie e innovazione voleva libri "nobilmente commerciali"

Filosofia, mercato ed eleganza, le molte frecce del Saggiatore

Primo: suggestioni galileiane, fin dal nome, con un'innata predilezione per la saggistica (da cui il logo: l'arco a forma di S del Sagittario, protettore di esploratori e filosofi). Secondo: l'ambizione a spingere più avanti la vita culturale del Paese. Terzo: la coscienza, mai mascherata da facili intellettualismi, che i libri sono prima di tutto un prodotto da vendere. Si mettano i tre ingredienti sul piatto della bilancia di precisione (ecco il significato del nome Saggiatore) e si misurerà il valore negli anni - sono 60 quest'anno, auguri - di una delle case editrici dalla vita più travagliata e vivace del Paese. Una storia così coraggiosa da sfiorare a volte l'incoscienza, o viceversa; così ricca di autori (Solmi, Montale, Bianchi Bandinelli, Cecchi, Anceschi, o Merleau-Ponty, Cassirer, Keynes, Jung); così intricata (il Saggiatore è all'inizio un ramo del grande albero Mondadori, poi si irrobustisce, poi viene tagliato, quindi reinnestato e poi rifiorisce di nuova linfa editoriale). E così elegantemente letteraria (due dei primi titoli, nella iper raffinata collana «le Silerchie», furono Lettera sul matrimonio di Thomas Mann e Storia di un romanzo di Thomas Wolfe). Insomma, una storia così lunga, sinuosa, seducente, che bisognerebbe scriverci un libro.

Ed è quello che ha fatto la casa editrice, con un'edizione speciale che racconta la Storia del Saggiatore. I primi sessant'anni (fuori commercio). Storie di una grande dinastia intellettuale (Mondadori-Formenton-Monicelli), di pensatori-guida: il grande Giacomo Debenedetti, Enzo Paci, Ernesto De Martino; di un'idea che era, ed è, quella di «far cessare quella frattura sempre più avvertibile e dannosa fra cultura e vita»; e di collane entrate nel mito («Cultura», l'unica rimasta ancora oggi, con testi-spartiacque come Tristi tropici di Lévi-Strauss o Il secondo sesso di Simone de Beauvoir) e altre soltanto progettate, come rivela il libro-tributo per il quale il giovane Andrea Palermitano ha raccolto e riscovato moltissimo materiale inedito. Tra i progetti degli inizi, solo per citare qualche nome, c'era anche una serie dedicata agli «Scrittori greci e latini» diretta dai dioscouri Citati-Mazzarino, oppure una collana, titolo: «Campo freudiano», votata a psichiatria e psicologia, per la quale si era pensato come direttore, con grande intuito anticipatore (siamo nel '68...) a Jacques Lacan, allora sconosciuto in Italia.

A proposito degli inizi... È il 1958 quando Alberto Mondadori, giornalista e poeta, oltre che figlio primogenito e inquieto del grande Arnoldo, imbraccia l'arco per scoccare la prima freccia del Saggitario-Saggiatore nella giungla dell'editoria italiana. Fa centro. Il catalogo, illuminista e temerario, s'arricchisce in fretta di titoli di politica, economia, arte, scienza (ne elenchiamo tre, oggi classici: Gli dèi e gli eroi della Grecia di Károly Kerényi, Bellezza e bizzarria di Mario Praz, i Diari di Paul Klee). L'avventura di Alberto resta sotto l'ombra della casa-padre fino al '67, quando avviene il primo di quella sequela di distacchi, divorzi, sconfitte e riconciliazioni per i quali è celebre la maison. Poi nel '76 la morte di Alberto. Quindi l'«interregno» dei filosofi, Veca e Giorello, poi la guida di Giulio Bollati, poi dal 1986 il ritorno sotto la proprietà Mondadori, poi la «guerra di Segrate», e poi - 1993 - la resurrezione del vecchio Saggiatore: Luca Formenton, figlio di Cristina Mondadori e nipote di Arnoldo, riacquista il marchio (e il catalogo). Si (ri)salpa. «Intendiamo conservare le caratteristiche di partenza della casa editrice - disse all'epoca il quarantenne Formenton - restituendole quell'anima nobilmente commerciale che aveva al momento della nascita».

Torniamo all'antico, e sarà un progresso. Ed ecco il rilancio del catalogo storico, il rafforzamento della saggistica, la rinascita delle leggendarie «Silerchie» (nel 2012), ma sempre continuando a sperimentare. Il pay off che corre come un sottotesto è: «Progettare libri più che subirli dal mercato». E nel nuovo progetto c'è spazio anche per tanta narrativa. Ecco James Agee, Robert Fisk, Carlos Fuentes, l'opera omnia di Allen Ginsberg, quella di Jean Genet, Norman Manea, la tetralogia americana di Joyce Carol Oates e tanti giovani che «raccontano il contemporaneo». Il tutto con una certa lungimiranza, la stessa che nel 1968, anno di forti turbolenze sociali e primo decennale della casa editrice, faceva dire al fondatore: «Il crollo di tante scale di valori non può non aver avuto immediati riflessi nel nostro modo di concepire la cultura. Il libro, strumento essenziale della trasmissione di quest'ultima, è stato dissacrato. Forse proprio questa dissacrazione sarà la sua fortuna.

Finché il libro ha rappresentato la verità doveva necessariamente crollare insieme a essa. Se invece diventa uno strumento si apre una stagione nuova e fruttuosa». Che è il senso profondo della produzione migliore del Saggiatore.

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