Piera Anna Franini
Il 15 novembre la Scala ospita una prima assoluta che entrerà nella storia della musica, letteratura e teatro. Va in scena la prima mondiale di Fin de partie di György Kurtág, il più illustre compositore vivente, il Giuseppe Verdi della contemporaneità. Una medaglia al valore al sovrintendente (della Scala) Alexander Pereira che con teutonica perseveranza per anni ha corteggiato l'anziano compositore che mai aveva scritto un'opera, e mai avrebbe voluto farlo. Alla fine, novantenne, Kurtág ha detto sì, facendo un lavoro di cesello durato - in mezzo problemi di salute - sette anni. Fin de partie, dall'omonima pièce in francese di Samuel Beckett, va in scena con la regia dell'amico e collega fidato Pierre Audi: fino a settembre alla guida dell'Opera di Amsterdam, e ora del festival di Aix en Provence. Curiosità, nel 2013 compariva nella rosa dei candidati alla sovrintendenza della Scala. Fu Claudio Abbado a perorarne la candidatura, oltre che a farlo incontrare con Kurtág. «Conosco György da 35 anni, dai tempi di Londra. Dirigevo il teatro Almeida e Abbado mi chiese se fossi interessato a coinvolgere Kurtág nel mio festival. Da allora siamo diventati grandi amici. All'Opera di Amsterdam gli avevo commissionato un'opera, ma alla fine rinunciò e così chiesi a Schnittke se poteva subentrare. E lui scrisse Vita con un idiota (1992) diretta da Rostropovich. Da allora abbiamo continuato a discutere della possibilità di un'opera, ma era esitante. È stato Pereira a convincerlo. E poi chissà: il destino».
Audi frequenta i grandi classici, da qui a giugno lo attendono Tosca, Rigoletto, Parsifal, ma ben conosce l'oggi: ha firmato decine di prime assolute. «Questa però è una prima speciale, uno dei progetti più interessanti della mia vita. Perché l'autore è Kurtág e perché è la prima volta che dal testo di Beckett si ricava un'opera, lui stesso non voleva che ciò accadesse». Come nell'originale, i personaggi sono quattro: Hamm, Clov, e i genitori Nell e Nag. Vivono in uno spazio asfittico, «in un bunker con una finestra che dà sul nulla. Hamm è immobile su una carrozzina, Clov, al contrario, non riesce a sedersi. I genitori sono privi di arti, in due bidoni. Clov è il servo e pure figlio di Hamm. I rapporti sono dunque molto intricati. È un'opera sull'accettazione della morte, si raccontano storie di vita, di rapporti familiari controversi».
Come nell'originale di Beckett, Clov è sempre sul punto di andarsene. Lascerà la casa di Hamm? «Forse sì. Ma non è chiaro. Abbiamo mantenuto i dubbi di Beckett». Hamm, il protagonista, più che re degli scacchi di questa partita giocata da principianti dunque senza fine, «parla di sé come un dio, riportandoci a Aspettando Godot, God del resto sta per dio. È una figura tragica, che coinvolge tutti in un rituale. L'espressione chiave dell'opera è di nuovo, il compositore traduce questo senso dell'inesorabilità con cellule che tornano circolarmente». Fin de partie è un atto unico, un'ora e 50 minuti senza intervallo. Ma a differenza dell'originale, è scandito da un seguito di scene, con tanto di apertura e chiusura di sipario. «C'è un unico spazio, ma con accorgimenti che ne cambiano la prospettiva».
Permane l'umorismo nero alla Beckett, con tanto di pantomima all'inizio, in un prologo che non si trova in Beckett. Le prove con i cantanti (Frode Olsen, Leigh Melrose, Hilary Summers e Leonardo Cortellazzi) sono iniziate ad agosto, ad Amsterdam. «Ma quando siamo andati a Budapest, provando con l'orchestra si è aperto un mondo. La musica ha chiarito, ha dato un nuovo volto. Una musica intensa, piena di colori, e passaggi da un estremo all'altro da pianissimi a fortissimi», spiega Audi con una punta di commozione.
Il compositore non verrà a Milano. «Sta bene, ma ha 93 anni.
La sua camera da letto è a 3 metri dalla sala delle prove. Lavora, ma in determinate condizioni». Fin de parte, opera intima, come reagirà ai grandi spazi scaligeri? «Questa è la mia unica nonché piccola preoccupazione».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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