La fotografia dell'invisibile nascosto dietro la pittura

L'uomo è entrato nell'età contemporanea quando ha iniziato a riprodurre la realtà attraverso l'obiettivo

La fotografia dell'invisibile nascosto dietro la pittura

La più grande crisi per la pittura è negli anni della affermazione della fotografia, in un combattimento mortale che umilia la prima, rubando la vita e la «presenza» alle cose. La pittura insegue la fotografia o se ne serve, ma ha perduto il testimone nel rapporto con la realtà. In un illuminante libro, Verso l'invisibile (Quinlan), Italo Zannier ci dice che l'uomo è entrato nell'età contemporanea quando ha iniziato a riprodurre la realtà attraverso la fotografia. In tal modo è cresciuta, ed è stata documentata, la memoria del mondo.

Questo percorso «verso l'invisibile», per renderlo visibile, ci consente di avere davanti in qualunque momento anche quello che non c'è, di portarci a casa, come oggi accade in modo parossistico, ogni porzione del mondo visto e visitato. Davanti alla Sfinge in Egitto, Gustave Flaubert poteva affermare che «soltanto la fotografia di Max avrebbe potuto descrivere l'emozione di quell'incontro». Tanto quel reperto è necessario che molti, oggi, non documentano, ma sostituiscono con la riproduzione fotografica, attraverso il telefonino, la realtà che non vedono, e che immediatamente rapiscono. Si allineano alla rapida evoluzione della fotografia tutte le invenzioni e le scoperte della scienza moderna, anche in campo medico e farmacologico, a partire dai raggi X, vera e non metaforica riproduzione dell'invisibile. Assistiamo a un'accelerazione della ricerca dell'uomo per conoscersi meglio, che ha l'equivalente soltanto nella moltiplicazione genetica, se soltanto consideriamo che nel 1858 gli abitanti del mondo erano un miliardo e 283 milioni, e oggi sono oltre sette miliardi e 125 milioni. L'umanità si è riprodotta con l'accelerazione con cui le immagini hanno moltiplicato il mondo, consentendo di dominare l'«altrove». Le ricerche tecniche avanzano di decennio in decennio producendo dagherrotipi, fotoeliografie, zincografie, via via fino alle attuali tecnologiche digitali e elettroniche che prescindono dalla stampa e che privilegiano la riproduzione «luminosa», fantasmatica, sopra uno schermo, come nel computer o nei telefoni cellulari. Da qui, pertinentemente, Zannier conia il neologismo «fotofanie», ossia «apparizioni», per distinguerle dalle fotografie che necessitano di un supporto cartaceo.

Nel documentatissimo studio si misura l'avanzamento della fotografia con le conquiste della scienza e le scoperte di ogni tipo, dal fonografo alla lampadina elettrica, una vera e propria storia dell'improvvisa e travolgente modernizzazione della società.

Nel 1854 la prima mostra degli impressionisti (intuitivamente alternativi alla riproduzione fotografica, perseguita dalla stessa pittura, prima e dopo l'invenzione della fotografia) fu ospitata, a Parigi, nell'atelier di Nadar in boulevard des Capucines, nel tempo in cui si stabiliva, dunque, quel «combattimento per un'immagine» di cui diede conto Luigi Carluccio in una mostra indimenticabile a Torino, mettendo in scena il confronto fra Pittura e Fotografia, a partire dalla metà dell'Ottocento. Verso l'invisibile va oltre e mette in relazione, quasi deterministicamente, il continuo passaggio dalla fotografia ad altri prodigi, il «telegrafo parlante», un vero e proprio telefono, attraverso l'esperienza di Bell e Meucci, i prototipi di aliscafo e di elicotteri, il termometro elettrico. Intanto la fotografia trova soluzione anche al problema della ripresa a colori. Ne consegue una integra fiducia nella scienza, la cui conferma viene dalla sorprendente evoluzione della fotografia nelle varie utilità, per documentare terremoti, eruzioni di vulcani, eclissi di sole, catastrofi e fenomeni naturali, tornado.

«Immagini nuove sono promesse quotidianamente dalla fotografia, come quelle ottenute dagli effetti grafici delle scintille elettriche, altrimenti invisibili agli occhi umani». Tra i miracoli di quegli anni c'è anche l'invenzione della luce elettrica, da cui viene la gloria della «Ville Lumière». La sera dell'Esposizione universale di Parigi, il 6 maggio 1889, la Tour Eiffel è scenograficamente illuminata, e il suo faro si può vedere a 190 km da Parigi. L'Ottocento finisce con i grandi viaggi transoceanici, sia per chi cerca lavoro sia per l'estensione del Grand Tour ai luoghi più remoti. Nasce così, oltre l'archeologia, l'antropologia. Si scoprono e si studiano altre specie di uomini, cosiddetti primitivi, dopo l'uomo del Rinascimento e l'uomo moderno. Convivono epoche distanti millenni. E la scienza produce continue meraviglie che mostrano come l'uomo può superare ogni confine. Alla fine del XIX secolo si afferma anche il cinematografo: la fotografia era finalmente giunta a rivelare, in questo suo perfezionamento, altri aspetti dell'«invisibile» nella «dinamica della vita».

Per Zannier il 1896 è l'«anno zero» di un percorso che porterà a traguardi allora ritenuti fantascientifici: viaggi verso la Luna, verso Marte, trasmissione simultanea di immagini, tecnologia elettronica che favorisce la conoscenza della dimensione enciclopedica dello scibile con un clic. Il percorso dalla fotografia verso l'invisibile porterà, come un penetrante occhio divino, ai raggi X, come li definì Wilhelm Conrad Röntgen, che il 28 dicembre 1895 comunicò al mondo la sua scoperta. Le conseguenze furono straordinarie e molteplici e porteranno la fotografia a uscire dalla rappresentazione della realtà fisica verso nuovi confini, che troviamo stabiliti nei manifesti futuristi, dove si afferma il primato sperimentale del linguaggio fotografico attraverso l'impresa dei fratelli Anton Giulio, Arturo e Carlo Ludovico Bragaglia, in direzione «concettuale» (parola tanto in voga nel linguaggio dell'arte contemporanea): «vogliamo vedere ciò che superficialmente non si vede; vogliamo ricordare la più viva sensazione dell'espressione profonda di una realtà indicibile e inafferrabile».

Così, nei processi di visualizzazione fotodinamica Bragaglia riproduce la scia di un corpo che si muove nello spazio, non altrimenti percepibile con la fotografia istantanea che «ferma il soggetto laddove si trovava per caso». Prima questa realtà, impercepibile altro che dalla fotografia, era stata ottenuta da William Crookes come documentazione di una seduta spiritica, in cui le apparizioni di una «abitatrice d'oltretomba» sarebbero certificate dall'immagine fotografica. Si entra dunque nel nuovo secolo con questo viatico, in cui la fotografia è protagonista, a fianco di ogni perfezionamento scientifico e tecnologico, scoperta dopo scoperta, e anche «oltre», nella dimensione «spirituale». La pittura risponde con il Simbolismo, e Kandinskij insegue lo «spirituale dell'Arte» e sconfina inevitabilmente nell'Astrattismo, una realtà non visibile. La fotografia occupa tutto il campo del rappresentabile, esteriore ed interiore. E questo, in fondo, conferma che essa, tra le conquiste scientifiche, è l'unica dotata di effetti indiretti e molteplici, ovvero di anima, come aveva intuito, con dispetto, come una premonizione, Charles Baudelaire già nel 1859: «se si permette alla fotografia di invadere il dominio dell'impalpabile e dell'immaginario, soprattutto ciò che vale perché l'uomo vi ha aggiunto qualcosa della sua anima, allora sventurati noi!». Se si permette. E come impedirlo?

Spesso, infatti, da allora la fotografia, nella sua imprevedibile forza evocativa, ha superato la poesia, e ha dato parola e vita ai morti, come sorprendentemente si legge nel libro Il tempo in posa di Gesualdo Bufalino, di commento alla scoperta di quattrocento lastre di collodio di fotografi di provincia, tra Comiso, Ragusa e Chiaramonte Gulfi: Gioacchino Iacona,

Francesco Meli, Carmelo Arezzo di Trifiletti, Corrado Melfi. In una di esse un uomo tiene in mano il libro di Ibsen Quando noi morti ci destiamo. Ecco: la fotografia è anche, oltre il trascendente, resurrezione dei morti.

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