Fuentes e la rivoluzione come Inferno o Paradiso

Nel romanzo «Con Nietzsche sul balcone» è Dante a fare da guida in un viaggio nei dilemmi della natura umana

Andrea Caterini

A chi lo accusava di aver dipinto nei suoi romanzi un Messico d'invenzione, senza alcun rapporto con la storia, rispondeva con un'ammissione, salvo aggiungere che proprio per questo era il vero Messico. Del resto, Carlos Fuentes (nato a Panama nel 1928 e morto nel 2012 a Città del Messico), nella sua terra d'origine, quella dei suoi genitori, non aveva vissuto molto. Con un padre diplomatico si era abituato a girare il mondo fin da ragazzino. E anche lui più tardi, tra il '75 e il '77, lavorò come ambasciatore messicano in Francia e insegnò in varie università degli Stati Uniti e d'Europa. La sua opera è del resto imbevuta di cultura europea, tanto da farcelo apparire uno scrittore a noi conterraneo, e il suo realismo, seppure non estraneo a quella magia che è la cifra immaginifica degli scrittori latino-americani, rivela una consapevolezza filosofica, una coscienza critica che appartiene alla storia del romanzo europeo. Eppure è indubbio che Fuentes sia stato parte fondante del «boom letterario» di quegli scrittori - Julio Cortázar, Gabriel García Márquez, Octavio Paz, Mario Vargas Llosa, José Lezama Lima - che attirarono i riflettori di tutto il mondo sulla letteratura del Sud America.

In un saggio del 1976, L'ingegnoso Don Chisciotte. Cervantes, o la critica della lettura (Donzelli, 2005) aveva scritto che «l'arte riscatta la verità dalle mani delle menzogne della storia». Più che una ricerca vera e propria sul capolavoro di Cervantes, il libro è una ricostruzione della storia spagnola antecedente il primo romanzo della modernità. Quella ricostruzione era la scia degli studi che aveva compiuto per la scrittura del romanzo storico Terra nostra, pubblicato lo stesso anno e mai tradotto nel nostro Paese. Ma quella asserzione ci introduce nella comprensione dell'ultimo romanzo di Fuentes uscito nel 2012 e ora tradotto anche in italiano: Con Nietzsche sul balcone (Il Saggiatore, pagg. 280, euro 22, traduzione di Eleonora Mogavero e Giuliana Carraro).

A partire da quell'affermazione, diremmo che non solo la storia, ma anche la rivoluzione (raccontata in molti suoi romanzi quasi fosse un'ossessione, un tarlo, un mistero), sembra essere per Fuentes una grande metafora. Basta leggere questo libro per rendersene conto, anche se l'analisi potrebbe essere applicata a parecchi suoi libri, primo fra tutti il suo capolavoro, La morte di Artemio Cruz (1962), un'opera insuperata in tutta la sua produzione non soltanto per la profondità contenutistica, ma anche per la sperimentazione di una struttura mobile e solidissima, ottenuta per mezzo di una schizofrenia della voce narrante (tra prima e terza persona) che ce lo fa ancora leggere come uno dei grandi libri del Novecento.

Dante, voce narrante di Con Nietzsche sul balcone, è, fra i tre rivoluzionari protagonisti del romanzo, l'uomo della ragione, colui che cerca un compromesso. È lui, infatti, a dialogare con Nietzsche in quell'alba interminabile, eterna (scopriremo nel corso delle pagine che la sua è quella di un già morto, che con un altro morto, ovvero il filosofo tedesco, analizza quanto è successo). È la ragione che si oppone dialetticamente a un pensiero contraddittorio. Cioè, Nietzsche permette a Dante di mettere in crisi la propria ragione, come se l'autore dello Zarathustra non fosse esattamente la sua coscienza - se così fosse non sarebbe nulla di più che un romanzo psicologico; ma qui la psicologia non ha alcuna funzione conoscitiva -, bensì il motore della vita, colui che ne svela il paradosso. Infatti, tutte le narrazioni che attraversano l'esperienza della rivoluzione sono anticipate da questo dibattito filosofico (costruito su molti temi nietzscheani: la volontà di potenza, il superuomo, la menzogna, l'eterno ritorno, la morte di Dio) in cui si cerca una ragione teorica di quanto è accaduto. Il secondo dei protagonisti è Azar, il quale rappresenta la legge, colui che mette ordine al moto rivoluzionario, che stabilisce una norma in uno stato d'eccezione. Azar è il potere alternativo, è la giustizia che, in nome della fede cieca nella legge (o della legge come etica) diviene un dittatore capace di uccidere ogni altra forma di ragione e di morale (sarà lui a far uccidere Dante). Infine, il terzo personaggio è Saúl, l'idealista che si pone fuori da ogni compromesso, che mostra le ferite della battaglia rivoluzionaria al popolo come fosse un Cristo contemporaneo. Saúl, effettivamente, è un Cristo senza Dio, già un martire, colui che manifesta il paradosso della rivoluzione che con lui comincia e con lui finisce (Nietzsche, in uno dei dialoghi con Dante, afferma con gravità che il cristianesimo è morto con la morte di Cristo).

In questo romanzo complesso, profondo, splendido, Fuentes usa ancora una volta la metafora della rivoluzione - in un Messico immaginario e verissimo - per dimostrare l'assurdità della natura umana. Ma se torna continuamente su questa metafora è perché qui individua il momento in cui l'uomo incontra tutte le proprie contraddizioni: il desiderio di giustizia e l'inevitabile piegarsi al compromesso; la necessità di cambiamento e la consapevolezza che ogni vero cambiamento non può essere di massa, ma solamente individuale, ossia spirituale. Allora per quale ragione, viene infine da domandarsi, Fuentes non ha scelto Saúl anziché Dante come voce narrante? Credo che questa scelta non derivi da una falsa umiltà (quella dell'autore di non voler identificarsi con un Cristo laico), ma da qualcosa di più profondo e, a conti fatti, di più drammatico e doloroso. Dante ha un fratello che rappresenta il vecchio potere, quello contro cui la rivoluzione è insorta. I suoi compagni vorrebbero che dimostrasse al popolo che quel legame di sangue non condizionerà il suo giudizio e le urgenze della rivoluzione. Gli chiedono insomma di giustiziare suo fratello. Ma Dante preferisce sacrificare la propria vita che quella di chi, pure ideologicamente agli antipodi, più ama.

È questa forma di sacrificio l'atto più rivoluzionario del romanzo. Dante è più cristiano di quanto lo sia quel Cristo laico suo compagno.

L'uomo del compromesso, l'uomo della ragione, il diplomatico (come diplomatico era stato Fuentes), ha compreso che le verità della storia non coincideranno mai con la verità dell'uomo. Verità, questa ultima, che solo l'arte può riscattare.

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