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Le gambe affusolate delle parigine alla conquista del mondo e dei maschi

Il protagonista Michel sogna a occhi aperti di fronte alla "trionfante maggioranza" delle ragazze all'università. E dimentica l'appuntamento con l'amico Régis...

Le gambe affusolate delle parigine alla conquista del mondo e dei maschi

Da una buona mezz'ora Michel si era seduto con noncuranza sulla terrazza della Source. In quegli ultimi giorni d'esame gli studenti erano i padroni quasi assoluti dei marciapiedi tante volte battuti e pure del selciato. In contemporanea alla sua fantasticheria, Michel seguiva quel va e vieni giovanile con una punta d'ironia, perché era più grande di molti di quei ragazzi. Ma il numero delle piccole passanti tra la folla di liceali smargiassi lo intrigava e lo avvinceva.

«Ah! Ecco la spiegazione, si disse. Oggi dev'essere la grande uscita dei maturandi, la proclamazione dello scritto e delle prime serie di orali, ed è anche un giorno di lauree. Ora mi ricordo, avrei avuto l'esame oggi... Le statistiche dei giornalisti sono giuste, questo è il secolo delle diplomate. Già ci superano in trionfante maggioranza».

Il numero delle ragazze cresceva incessante. Gli oscuri anfiteatri le lasciavano uscire a ondate. Avevano nascosto i ragazzi a Michel, tanto metteva un improvviso amore nel contemplarle. Spuntavano a centinaia, a migliaia, fini, cicciottelle, alte, meno alte, diafane, piccanti, serafiche, sensuali, civettuole, infantili, delicate, robuste. Un popolo, un fiume, una foresta di ragazze scendeva lungo il viale nella polvere dorata in cui si concludeva uno splendido pomeriggio estivo. Scalpitavano gioiosamente all'uscita dalle segrete della Sorbona. Sospesi al polso da un nastrino avevano i loro cappelli di paglia e li facevano oscillare, li facevano volare sulla punta delle dita assieme a dei minuscoli accessori di scolarette. Ne passavano delle ghirlande piene di risate che si erano allacciate a braccetto, delle lunghe file che camminavano spedite con le loro gambe affusolate. Erano fiorite e leggere come i loro corti vestitini dei bei giorni, pimpanti da vere parigine che con le loro fresche armi affrontano i pedanti più immusoniti. Su quella deliziosa ondata Michel aveva preso il volo.

«Che m'importa da dove vengono e dove vanno, che abbiano preso il diploma come un gioco o che gravemente vi credano, che un ditino sia stato macchiato d'inchiostro e che la ramaglia dei cespugli d'aprile sia un concerto di logaritmi, di Tito Livio, di Senofonte o di battutine sulla trippa e le unghie sporche di un barbuto e pulcioso di prof? ... Un giorno forse sarò seduto in questo stesso posto. Non avrò più vent'anni e le fanciulle di sedici, di diciassette, di diciotto scenderanno ancora lungo questo viale, lo incanteranno di nuovo come oggi. La mia grande malinconia, il mio immenso rimpianto non saranno allora di averle lasciate fuggire, di non averle avute a decine e di non poterle mai più avere?

«Sì, sono tutte desiderabili, perché i miei occhi hanno cancellato, hanno negato quelle brutte. Arderei per queste brunette dai fini visi allungati, i nasi sottili quasi arabi, i loro grandi occhi caldi tra le sopracciglia spesse e pure, l'emozionante ombra color bistro e l'altra ombra di un impalpabile blu sulle labbra, i loro petti acuti e tiepidi sotto il tùssor, la loro ardente delicatezza delle membra e delle reni. Arderei per le castane dai capelli vaporosi che spumeggiano nella luce; per le bionde dai polpacci rosa e i ventri dorati; per quelle dai boccoli da fanciulline, gli occhi vivi e così graziosamente falsi, i musetti da gatte, tondi e un po' corti; e per le monelle e per quelle fiere, per quelle che tendono bene la coscia e l'anca mentre trotterellano, per quelle che sono un po' chine in avanti, dolcemente, o per quelle molto assennate che tornano veloci alle belle dimore borghesi, stanno dritte e hanno i seni infuori, e per quelle che ne sanno, le cacciatrici che non si abbordano con lo stesso batticuore, ma che quando le si stringe fanno girare la testa in modo così divino.

«E desidero pure, oh, sì, le meno belle, le troppo studiose, quelle che si vestono un po' a casaccio o da maschiacce, ma che sarebbero così eccitanti da ribaltare nelle loro camerette d'hôtel particulier, tra il loro dizionario e le loro foto dei templi greci e di Chartres, che arrossirei (sono così stupido!) ad accompagnare fuori, ma che davanti al loro divano, senza i loro occhiali, mentre sbattono un po' i loro dolci occhi miopi, hanno dei seni ammirevoli sotto la loro semplice blusa che si slaccia e un'aria struggente quando il loro tosone fitto, il loro tosone nero, il loro tosone fulvo, quello più casto come quello più animale si mostra per la prima volta agli sguardi dell'uomo; che hanno una bellezza ignorata e si schiudono per colui che l'ha finalmente saputa intuire, e che amano così appassionatamente l'amore che non ci si sogna di fargli fare.

(...) «Ah!... Ahimè! Posso amare le fanciulle? Sono inchiodato all'amore? A quale amore?».

Michel si risvegliò da quel pianeta scompaginato nel quale le fanciulle di diciott'anni

hanno paura dell'amore e le donne di quarantacinque anni lo vogliono troppo, contemplando la pendola elettrica di un orologiaio e comprendendo d'improvviso che l'ora del suo appuntamento con Régis era già passata da molto.

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