Georges de La Tour, l'arte di dipingere con le ombre

A Palazzo Reale le opere del misterioso pittore che è considerato il Caravaggio francese

Georges de La Tour, l'arte di dipingere con le ombre

«Ancora oggi gli storici dell'arte francese dicono che è stato una meteora». Tocca alla curatrice Francesca Cappelletti presentare la figura misteriosa di Georges de La Tour (1593-1652), protagonista della mostra che apre oggi a Palazzo Reale (sino al 7 giugno), e che le istituzioni culturali milanesi hanno cominciato a immaginare già dal 2008. Nel 2011 due opere del maestro francese arrivarono a Palazzo Marino, riuscendo nell'opera non facile di battere il numero di ingressi della Conversione di Saulo del Caravaggio.

Quello con il Merisi è per La Tour un confronto obbligato, e non a caso Milano ha deciso di affidare questa mostra a colei che ha rivelato il dipinto del Caravaggio che più di tutti richiama per condizione luministica il pittore francese, quella Cattura nell'orto che sta a Dublino e su cui la Cappelletti scoprì documenti decisivi. Con La Tour siamo stati meno fortunati: «Impossibile stabilire in maniera certa la cronologia delle opere, decidere in maniera definitiva del loro significato, risolvere i dubbi sul viaggio in Italia», scrive nel saggio in catalogo (Skira) la curatrice. Che propone di smettere di chiamare La Tour «pittore della realtà», come proponeva la mostra parigina del 1934. Dove per la prima volta, in anticipo sulla rivalutazione del Caravaggio, apparì ben definita ai contemporanei la sua grandezza, qui a tratti appannata da un allestimento che comprime le vette emozionali incarnate dai dipinti più iconici.

Prendiamo la Maddalena penitente, proposta nella redazione conservata a Washington, forse meno pop di quella newyorkese, apparsa anche nella Sirenetta di Disney, degna però di essere osservata come si ascolterebbero I dialoghi delle Carmelitane, la partitura rarefatta di Francis Poulenc sul libretto di Georges Bernanos. La pittura a lume di candela viene qui usata per posizionarsi nel registro di una meditazione silenziosa. È l'incarnazione lunare di una religiosità austera e disadorna come un film di Robert Bresson, totalmente differente dal cliché caravaggesco delle penitenti prorompenti e languide. Georges de La Tour porta così la sua brezza nordica sulla scena della pittura europea, ma l'impressione è in parte vanificata dal confronto con una scialba Vanitas classicista di Gherardo delle Notti. Il confronto tra la serie di apostoli di Albi e gli evangelisti raffigurati da Frans Hals ha invece il merito di individuare quella che è la vera eredità del Caravaggio: mettendo in mano a modelli presi dal popolo gli attributi dei santi, La Tour li trasforma in figure capaci di incarnare l'interiorità del sacro. È qui che si compie pienamente la sua ricerca del vero, nel collocare dentro alla vita quotidiana della gente umile il mistero della cristianità.

Per quale percorso questa lezione arrivasse a un artista che sembra ancora non essersi mai mosso dalla Lorena, è materia di quelle ipotesi che poco convincono gli storici dell'arte di professione, ma che occorre comunque tentare allorché si tenti l'impresa di una monografia. Certo La Tour non aiuta: uno dei suoi tre dipinti firmati, Il denaro versato che arriva da Leopoli, è tanto ingegnoso come impaginazione quanto lacunoso e corsivo nell'esecuzione. A distanza ravvicinata I giocatori di dadi nelle collezioni inglesi di Stockton-On-Tees e La negazione di Pietro di Nantes sono senza dubbio da collocare nel medesimo momento, fissato appena dopo la metà del secolo e paiono dipinti nel solco di quella tradizione italiana di pittura a lume interno che in mostra non è documentata, quasi complicasse il disegno di una derivazione da Van Honthorst esplicitata nella Cena con sponsali degli Uffizi (dove però c'è più convenzione di genere che naturalismo). Il notturnista raffinato e geometrizzante, talvolta un po' edulcorato, a far sospettare un intervento della bottega, è messo invece a confronto con gli esiti di Trophime Bigot e di Adam de Coster, l'uno con il noto San Sebastiano curato dagli angeli, l'altro con il sorprendente L'amore mercenario. Nella sezione titolata «Una povertà monumentale» sta il vertice assoluto della produzione del lorenese, il Suonatore di ghironda del museo di Bergues, unitamente a due bellissimi tipi di anziani provenienti da San Francisco, che Marta Kellog Smith identificò in personaggi tipici della commedia popolare del Nord Europa, Pere Didon, il marito sottomesso, e Alison, la moglie dispotica. Collocati in una scatola scenica che è la stessa del Suonatore, i due sembrano dialogare in uno spazio teatrale concepito per sottrazione, come nella Pala dei Palafrenieri del Caravaggio.

Ed è paradossalmente quando si spegne il lume

notturno, e trionfa la pittura di verità, come in questo commovente musicista di strada cieco vegliato dal suo cane (Testori lo avrebbe detto un Ceruti traslato nella luce di Delft), che La Tour vale pienamente la candela.

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