“Come ho fatto a calarmi nel ruolo? Semplice: ho pensato a voi italiani. D’altronde, nel film sono un uomo ricco, ben vestito, con una moglie e un’amante. E mando a picco la mia azienda. Più italiano di così!”, spiega Richard Gere, di passaggio a Roma per presentare La frode (dal 14 marzo), elegante thriller di Nicholas Jarecki.
In forma come al solito, sorridente e canuto, sì, ma in modo fascinoso – nel senso che i suoi capelli bianchi non fanno pensare a un uomo vecchio, ma a un uomo indifferente all’avanzare del tempo -, il divo buddhista stavolta scolpisce un personaggio assolutamente attuale. Quello di Robert Miller, uomo d’affari “sempre in movimento, come uno squalo”, dice lui, mentre riflette a voce alta con i giornalisti di cinema, rumoreggianti - “bubbling casino”, commenta la star -, perché non ci stanno a osservare un ridicolo embargo, posto dalla casa distributrice del film, la M2Pictures. Come si fa a scrivere, un mese dopo, di quello che racconta, oggi, l’American Gigolo, romano per un giorno? “E’ vero: interpreto un personaggio diverso dal solito, così spietato negli affari, ma recitare è giocare”. Ne fa di tutti i colori, il suo manager che compare sulla copertina di Forbes, veste in modo impeccabile, abita in un lussuoso appartamento a Manhattan, insieme a una moglie (la sempre brava Susan Sarandon) che lui cornifica con l’amante francese (una Laetitia Casta struccata e naturale, quasi sciatta: tanto muore dopo venti minuti) e a una famiglia apparentemente perfetta. Il fatto è che Miller sta cercando di vendere il suo impero finanziario a una grande banca, prima che le frodi da lui perpetrate vengano scoperte. Ma proprio mentre sta per chiudere la trattativa, l’uomo d’affari causa un mortale incidente automobilistico: addio amante parigina, seduta al suo fianco. E addio soccorso: Miller scappa e forse i suoi affari non andranno a pallino.
“Leggendo la sceneggiatura, scritta benissimo, ho pensato subito a Ted Kennedy e al caso di Chappaquiddick, quando il senatore lasciò annegare nella sua auto, precipitata da un ponte, la povera Mary Joe Kopechne. Nessuno indagò, la cosa finì lì”, racconta Richard, nominato ai Golden Globe, ma senza ottenere altro, a livello di candidature all’Oscar. “La frode” ha un andamento teso,mentre l’uomo d’affari è incalzato dalla risoluzione di problemi più grandi di lui. I grattacieli di New York, alti e intimidatori, quasi soffocano la corsa perpetua di Robert Miller, nel finale incalzato anche dalla figlia Brooke, che scoprendo la frode paterna, inizia a disprezzarlo e dalla moglie viziata, pronta a ricattarlo. Perché, nonostante i grossi avvocati che lui può permettersi; nonostante la bocca cucita del ragazzo negro, che l’ha riportato a casa, la notte dell’incidente, c’è un detective (Tim Roth) che vuole incastrarlo…”Questo film non ha messaggi: viene rispettato il punto di vista di tutti. Dei giudici, del manager, del ragazzo negro,del poliziotto. Lo specchio è il messaggio: basta guardarsi allo specchio e scoprire che tutti noi mentiamo un po’, frodiamo un po’. In tutti c’è la tentazione di sentirsi al centro dell’universo: questo è il problema”, riflette Gere, che ha un figlio 13enne al quale vuole dedicare tutto il tempo possibile, “prima che mi rifiuti, o se ne vada di casa”.
Ma a ogni male c’è rimedio, manda a dire la star, che cita Bill Clinton e l’impeachment seguito agli scandali sessuali della Casa Bianca, “mentre adesso la famiglia Clinton pare il ritratto della tipica famiglia felice”. A chi gli chiede se, in questi giorni, si sia fatto un’idea sul futuro della Chiesa cattolica, col soglio di Pietro vacante, Richard risponde giungendo le mani: “I’m buddhist”.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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