Cultura e Spettacoli

Giampaolo Martelli, il giornalista che fece «grande» la redazione di Indro

Domizia CarafoliDalla redazione al quarto piano di via Negri, lo sentivamo arrivare: il suo vocione saliva su per la rampa delle scale, quando salutava il portiere. Lui si scusava: «Ho una voce come una tromba» diceva entrando. Ciuffo grigio in disordine, maglione dello stesso colore, pantaloni di velluto millerighe e scarponcini Timberland. Fascio di giornali stazzonati sotto il braccio. «Sparatevi un caffè che si comincia a lavorare», diceva accendendo la prima delle innumerevoli Gauloise.Per il lavoro Giampaolo Martelli aveva una venerazione calvinista, innata alla sua natura di torinese di buona famiglia, nato nel 1932, approdato a Milano e al Giornale quando la nuova testata si affacciava sulla scena turbata degli anni '70. Fra i primissimi della creatura di Montanelli.Cominciai a lavorare con lui quando il direttore decise di creare la pagina «Grande Milano Costume», quella che un altro grande giornalista anch'egli scomparso, Lucio Lami, chiamava «la stanza dei giochi» ma che era un vero, intelligente e libero osservatorio sul costume cittadino, sulle mode, sulle manie, sui vezzi della Milano da bere degli anni '80 in piena temperie craxiana. Perché Martelli non era soltanto un ottimo giornalista, era anche un uomo di solida cultura, una formazione maturata nell'ambito di una destra libera e un po' anarchica. Se ne distaccò in seguito per avvicinarsi ai radicali, sempre con l'indipendenza di pensiero che lo distingueva. Negli anni '60 aveva fatto pubblicare per la casa torinese Edizioni dell'Albero fondata da Alfredo Cattabiani, l'oggi introvabile romanzo di Roger Nimier Giovani tristi che aveva inaugurato la nouvelle vague. Ma anche La commedia di Charleroi di Drieu La Rochelle.Lui stesso era autore di un romanzo, Inutilmente, tuo, disincantata autobiografia in terza persona e confessione dei suoi non facili rapporti con l'universo femminile. Le sue storie sentimentali erano complicate ma per le donne nutriva stima e rispetto. Alla variopinta e giovane redazione che aveva radunato nella «Milano Costume» (poi passò alla redazione Spettacoli) aveva insegnato una scrittura asciutta e senza fronzoli. Lui che ammirava Tom Wolfe e Simenon, ci insegnò a essere brevi ma «descrittivi», efficaci.

Non so se siamo stati dei bravi allievi ma ora che se ne è andato in silenzio pochi giorni fa, ne rimpiangiamo la dedizione al giornalismo e la cristallina onestà di pensiero.

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