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Giornalista libera, amante soffocante Così era Oriana

Oriana Fallaci fu la più grande nel suo campo. Ma fu anche una donna fragile. Dominava la scrittura, però si faceva dominare dagli uomini

Giornalista libera,  amante soffocante  Così era Oriana

Esce oggi il libro di Bruno Vespa Donne d'Italia. Da Cleopatra a Maria Elena Boschi storia del potere femminile (Mondadori-Rai Eri, pagg. 442, euro 20) che racconta la storia italiana vista dalla parte delle donne: da Cornelia, madre dei Gracchi a Matilde di Canossa, da Anita Garibaldi alla contessa di Castiglione, da Margherita Sarfatti alle donne della Resistenza, da Marisa Bellisario a Susanna Camusso, dalle Sorelle Fontana a Miuccia Prada, da Oriana Fallaci a Camilla Cederna fino alle ministre di Renzi e Berlusconi. Pubblichiamo il capitolo dedicato a Oriana Fallaci.

«Perché costringe le donne a nascondersi come fagotti sotto un indumento (il chador) scomodo e assurdo con cui non si può lavorare né muoversi? Eppure anche qui le donne hanno dimostrato d'essere uguali agli uomini. Come gli uomini si sono battute, sono state imprigionate, torturate, come gli uomini hanno fatto la Rivoluzione...».

Era il settembre 1979 e Oriana Fallaci stava intervistando per il Corriere della sera l'ayatollah Khomeini (l'intervista sarebbe uscita poi anche sul Times di Londra). Il traduttore dovette sudare freddo, e chissà se magari avrà addolcito la domanda... «Le donne che hanno fatto la Rivoluzione erano e sono donne con la veste islamica, non donne eleganti e truccate come lei che se ne vanno in giro tutte scoperte trascinandosi dietro un codazzo di uomini», rispose Khomeini. «Come si fa a nuotare con il chador?» insisté Oriana. E lui, spazientito: «Tutto questo non la riguarda. I nostri costumi non vi riguardano. Se la veste islamica non le piace, non è obbligata a portarla». Lei non aspettava altro: «Molto gentile. E, visto che mi dice così, mi tolgo subito questo stupido cencio da medioevo». Sono sicuro che a questo punto il traduttore censurò la frase, ma non poteva evitare il gesto: la Fallaci si scoprì e nella sala scoppiò il finimondo (lei stessa, poi, avrebbe raccontato di essersi tolta il chador per il caldo). Ma l'intervista fu portata a casa, comprese le domande sulla pena di morte per le donne adultere, le prostitute e gli omosessuali.

Questa era Oriana Fallaci: la donna più libera, geniale e insolente del giornalismo italiano. Insieme a Indro Montanelli, la più grande in assoluto. E la numero uno al mondo, tra le giornaliste. La più adorata e la più detestata. Un carattere infernale, che non ha mai consentito a nessuno dei suoi infiniti corteggiatori di fare il passo decisivo. Anche in amore era lei a scegliere. E quando sceglieva, si donava in modo totale, assoluto, soffocante. Tanto soffocante da costringere l'amato a tagliare la corda.

Come ha rivelato in una biografia postuma Cristina De Stefano (Oriana, una donna), un suo grandissimo amore fu nel 1958 Alfredo Pieroni, bello e raffinato corrispondente da Londra della Settimana Incom Illustrata (e poi del Corriere della Sera). Oriana aveva 29 anni, i capelli chiari, begli occhi e il profilo non ancora indurito da una vita vissuta in prima linea. Quando la loro storia era all'apice, lei gli scriveva: «Continua ti prego a permettermi di volerti bene Darei venti anni (ammesso che me ne restino tanti) per mandare al diavolo il mondo ed essere ora a Princes Gate a pulirti le scarpe». Oriana voleva una famiglia, Pieroni no. Quando scoprì di essere incinta, gli scrisse, pensando di abortire: «So, con sicurezza, che devo farlo; perché se non lo facessi, rovinerei e turberei, almeno, la tua vita». Abortì spontaneamente a Parigi, cadde in depressione, tentò il suicidio, come raccontò più tardi in un articolo sull'arte di vivere in hotel («Seconda regola: non suicidatevi in albergo, si infastidiscono molto»). Un secondo aborto spontaneo avvenne nel 1965 (ignoto il padre). Una storia travolgente fu anche quella con François Pelou, corrispondente di guerra francese dal Vietnam, dove Oriana seguì l'intero conflitto, in uno spasmodico andirivieni. Ancora una volta, lei si concesse completamente: «Sono una cosa tua. Sono finalmente qualcosa». Pelou la definiva «romantica, tragica, assoluta». Finì perché lui non volle lasciare moglie e figli per la grande giornalista italiana. Lei, perfida, si vendicò spedendo la corrispondenza alla moglie, come racconta la De Stefano.

L'amore più celebre e l'unico noto, fino alla morte della Fallaci fu quello per Alekos Panagulis, l'intellettuale che aveva cercato di uccidere il dittatore greco Georgios Papadopoulos dopo il golpe dei «colonnelli» del 1967. Era sottoposto a un regime di carcere duro, in isolamento assoluto. Nemmeno la madre poteva abbracciarlo. «Voglio vederlo» disse Oriana. Lo aspettò all'uscita della prigione, nel 1973, dopo aver fatto da battistrada a una campagna internazionale in suo favore. La Fallaci se ne impossessò fisicamente fin dal primo istante, quando lui le regalò un fascio di rose in una stanza d'albergo. E lo isolò nella sua villa in Toscana. Panagulis tornò in Grecia nel 1974 quando cadde il regime militare, si concesse avventure che lei gli perdonò e morì due anni dopo in un incidente stradale rimasto misterioso: Oriana ha sempre creduto a un delitto mascherato. Scrisse di sé nel 1975: «Non sono sposata. Non ho mai pensato a sposarmi. Anche se mi considero sposatissima con l'uomo che amo da anni». Era lui, Alekos. Nel 1975 scrisse Lettera a un bambino mai nato (2 milioni di copie vendute in Italia e 2 milioni e mezzo in altri venti Paesi), e questo ha autorizzato qualcuno a immaginare un terzo aborto spontaneo della Fallaci, in seguito a una lite con Panagulis (come racconterà nel libro a lui dedicato, Un uomo, pubblicato nel 1979 e diventato un altro bestseller). Il rapporto tra i due fu certamente tempestoso: lui la tradiva, lei sostenne di averlo messo un giorno alla porta perché le aveva chiesto di lavargli i calzini.L'ultimo amore importante fu per Paolo Nespoli, che aveva 28 anni meno di lei: le fece da autista nel 1983 come militare del corpo di spedizione italiano in Libano, lei lo convinse a non lasciare l'addestramento da astronauta. Vissero insieme cinque anni a New York («Avevo giurato che non avrei mai più toccato un uomo» gli scrisse. «Poi ho incontrato te») e la storia finì quando lui andò in Germania per un incarico all'Agenzia spaziale europea.Non so se Oriana (Firenze, 1929) abbia mai avuto il tempo di giocare con le bambole («La mia infanzia non è stata allegra» ha raccontato in un articolo autobiografico del 1975 «i miei genitori erano abbastanza poveri»).

Suo padre Edoardo, artigiano, era «comandante militare» del Partito d'Azione in città e fin da preadolescente, camuffata da bambina («portavo ancora le trecce»), Oriana consegnava armi, giornali clandestini, messaggi ai compagni nascosti o riuniti in formazioni partigiane. Dopo l'8 settembre accompagnò in bicicletta, verso le linee alleate, i prigionieri inglesi e americani fuggiti dai campi di concentramento italiani. Custodiva i nomi degli antifascisti in una zucca appesa nel giardino del convento in cui era nascosta con la madre e le sorelle e, quando papà Edoardo fu arrestato e torturato, Oriana mangiò tutti i foglietti. A 16 anni e mezzo cominciò a scrivere sul Mattino dell'Italia Centrale. Raccontò di esserne stata licenziata perché il giornale era democristiano. Poi su Epoca e, finalmente, sull'Europeo, il giornale che la lanciò. Fisicamente era uno scricciolo. «Tutti i miei libri sono scritti in prima persona, generalmente, e hanno comunque uno sfondo biografico» raccontò. «Non dicono solo la mia altezza (un metro e 56 scarsi) e il mio peso che oscilla tra i 42 e i 43 chili. La gente, quando mi conosce rimane sorpresa da tanta pochezza. E io allargo le braccia e dico: È tutto qui».

A 25 anni, nel '54, «misi poche cose dentro un'unica valigia e, senza avere la minima idea di dove sarei andata ad abitare, presi il treno per Roma». Si stabilì in una cameretta in affitto e visse un anno raccontando la Roma della «dolce vita», «ma sempre con un sopracciglio rialzato». Poi otto anni a Milano, interrotti da molti viaggi.«Erano gli anni Cinquanta, cominciavano appena a socchiudersi per le più impazienti le porte delle professioni cosiddette maschili» scrisse sulla Repubblica Natalia Aspesi alla morte della Fallaci. «Era una guerra nuova, tra donne, non per assicurarsi un marito di pregio ma quel poco di spazio che veniva concesso nella scalata al successo professionale. In ogni campo due donne erano già troppe, ne bastava una, che diventava subito per la sua unicità una star». All'Europeo, un'altra donna aveva un ruolo di primo piano, Camilla Cederna, di cui parleremo più avanti.

La Aspesi ricorda i due partiti: «I cederniani che amavano l'ironia colta e mondana di Camilla e sostennero poi il suo impegno politico all'Espresso, i fallaciani che singhiozzavano adoranti per la visceralità della scrittura di Oriana, per gli schiaffeggiamenti morali cui sottoponeva i suoi ipnotizzati celebri intervistati e che oggi apprezzano le sue invettive apocalittiche e pericolose sull'Islam».

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