Il giorno che fece perdere la faccia agli antifascisti

Il patto Molotov-Ribbentrop rinnegava anni di lotta comunista. Ma fu giustificato dai dirigenti europei

Il giorno che fece perdere la faccia agli antifascisti

Domani è il 23 agosto. Ottant'anni fa, Vjaceslav Molotov e Joachim von Ribbentrop firmavano il patto che porta il loro stesso nome. Hitler e Stalin, nazismo e comunismo, Terzo Reich e Unione sovietica si promettevano un futuro di pace lungo almeno dieci anni. Non solo. Come emerso da documenti russi (protocolli a lungo segreti) i due regimi si spartivano l'Europa dell'Est. L'Unione sovietica si aggiudicava la parte orientale della Polonia (che includeva zone di Ucraina e Bielorussia), la Lettonia, l'Estonia e la Finlandia. Polonia occidentale e Lituania sarebbero andate al Terzo Reich. Negoziati successivi assegnarono anche la Lituania alla sfera di influenza sovietica. Pochi giorni dopo la firma dei ministri degli Esteri, appunto Molotov e Ribbentrop, la Germania invase la Polonia. Iniziò così, il 1º settembre 1939, la Seconda guerra mondiale.

Il patto di non aggressione gettava nella pattumiera le quasi ventennali lotte antifasciste dei partiti comunisti europei, in particolare il francese e l'italiano, i più importanti. Inoltre rivelava una sconcertante affinità di fondo tra il Terzo Reich e l'Unione sovietica, i volti gemelli del totalitarismo. La sinistra ne uscì lacerata. In Francia alcuni deputati comunisti uscirono dal partito, i sindacati condannarono l'intesa, intellettuali e scienziati di fama espressero il loro «stupore dinanzi al voltafaccia che ha riavvicinato i dirigenti sovietici ai dirigenti nazisti». Tuttavia già sui giornali comunisti del 24 agosto si leggevano lodi sperticate del compagno Stalin: il patto era un trionfo sovietico che garantiva la pace. Acrobazie dialettiche. Reagirono anche alcuni antifascisti italiani in esilio: Pietro Nenni si dimise da segretario del Psi, Leo Valiani lasciò il Pci; perplessità gravi afflissero una parte del gruppo dirigente comunista. Ma sui giornali dei comunisti italiani pubblicati in Francia toccò leggere che l'alleanza con Hitler era un grande successo contro... il fascismo. Palmiro Togliatti si lanciò nella difesa a tutto campo di Stalin: «Dirigete i vostri sguardi verso la stella della rivoluzione sociale e la stella dei soviet, e non sbaglierete mai». Il Patto è sacrosanto. Se i nazisti lo tradiranno saranno puniti. Stalin non sbaglia mai. Come Mussolini. La posizione di Togliatti divenne maggioritaria. A Ventotene, i confinati Luigi Longo, Mauro Scoccimarro e Pietro Secchia restarono fedeli ai sovietici mentre Umberto Terracini esprimeva il suo dissenso. Nel complesso, i comunisti accettarono le bugie della propaganda: il geniale Stalin, isolato da Francia e Inghilterra, prendeva tempo e si preparava alla Grande guerra patriottica contro Hitler, potenziando l'Armata Rossa. C'è una variante contestata da alcuni storici ma accolta ad esempio da Victor David Hanson in La seconda guerra mondiale (colosso di 792 pagine in uscita per Mondadori in settembre). Stalin era convinto di assistere alla auto-distruzione dell'intera Europa occidentale in poco tempo. Il progetto era semplice: piombare sui contendenti stremati o costringerli ad accordi vantaggiosi solo per Mosca.

Fino al 1989, la storia fu raccontata così. Come abbiamo già visto, il patto andava ben oltre. Il 22 giugno 1941, Hitler si lanciò nell'Operazione Barbarossa e attaccò Stalin. L'Urss continuava ad alzare il prezzo del suo appoggio indiretto: rivendicò altri territori per bocca di Molotov. Stalin credeva di tenere in pugno Hitler: la Germania infatti non riusciva a ottenere una chiara vittoria sull'Inghilterra e non poteva permettersi di rischiare l'apertura di un altro fronte. Hitler però la pensava diversamente e colse di sorpresa Stalin.

Facciamo un passo indietro. Tra il 23 agosto 1939 e il 22 giugno 1941 ci sono mesi imbarazzanti per la storia del comunismo. Al punto che non si può dire siano stati studiati con enorme impegno da una storiografia troppo schierata per essere obiettiva. Scrive Max Hastings in Inferno. Il mondo in guerra 1939-1945 (Neri Pozza): «Alcuni storici hanno accettato la definizione che l'Unione sovietica diede di se stessa nel dopoguerra, ovvero una potenza neutrale fino al 1941. Si tratta di un errore». Stalin non era cobelligerante di Hitler ma godeva i vantaggi territoriali ottenuti in cambio del via libera alle aggressioni naziste in Polonia e nel resto d'Europa.

L'indipendenza dei partiti comunisti nel Vecchio continente fu annientata dal patto Molotov-Ribbentrop dopo essere stata messa a dura prova dalle purghe del 1936-1938. Abbandonato l'antifascismo, nascondendosi dietro a un pacifismo di facciata, i partiti comunisti rispolverarono l'odio per la camicia nera solo nell'estate del 1941.

Per questo, quando si parla di antifascismo, e sappiamo che in Italia non si fa altro, sarebbe meglio specificare che la credibilità dell'antifascismo di stampo comunista, dal punto di vista storico, non ha le credenziali in regola. In realtà, dichiararsi antifascista non significa dichiararsi per la libertà e la democrazia. Significa piuttosto collegarsi a una tradizione piena di ombre (nerissime).

Non stupisce la transumanza di molti intellettuali fascisti sotto la protettiva bandiera rossa di Togliatti: c'erano affinità elettive emerse con chiarezza il 23 agosto di ottant'anni fa. Per essere democratici e liberali è indispensabile dichiararsi sia antifascisti sia anticomunisti. È il segreto di Pulcinella ma troppi in Italia fingono ancora oggi di non conoscerlo.

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