Giulia Lazzarini ovverosia la grazia innata nel recitare. Basta recarsi all'Elfo Puccini e vederla all'opera, da protagonista, in due produzioni del Teatro della Cooperativa: Muri. Prima e dopo Basaglia (fino a domani) e Gorla fermata Gorla (dall'11 al 14 maggio). Nel primo spettacolo, l'attrice racconta la storia vera di Mariuccia, infermiera del manicomio di Trieste che scoprì, con l'arrivo di Basaglia, la possibilità di un approccio finalmente umano con chi soffre; nel secondo è una superstite adulta della strage di Gorla, dove persero la vita 184 bambini, a seguito di una bomba sganciata su una scuola elementare del quartiere milanese. Era il 20 ottobre 1944 e la Lazzarini, allora decenne, viveva in zona. Non ha mai dimenticato che sarebbe potuta accadere a lei la tragica sorte di finire sotto le macerie. L'ex musa di Giorgio Strehler dimostra anche in questi due lavori, scritti e diretti da Renato Sarti, di possedere quella «semplice grandezza» che è il titolo, azzeccato, di una recente monografia dedicatale.
Entrambi gli spettacoli sollecitano la memoria di noi italiani: «Ohimè sì, ed è molto triste perché io sono convinta che la memoria, personale e storica, sia una delle cose più importanti della vita. Le nuove generazioni tagliano i ponti col passato, non rendendosi conto che così facendo viene a mancare il terreno su cui poggiare i piedi». Racconta come il fatto di avere vissuto la guerra abbia influito «parecchio», negli anni della sua formazione: «Da allora osservo con orrore e raccapriccio ogni forma di conflitto. Mi sembra impossibile che l'uomo continui a perseverare in questa barbarie» dice. Ha influito così tanto che, all'inizio, il primo sogno di Giulia Lazzarini da ragazzina era «di vivere un po' più in pace». La recitazione è arrivata dopo: «Per evadere dalla noia della quotidianità, con gli amici formammo dei piccoli gruppi organizzando delle commedie. Fu in quelle recite, molto amatoriali, che tutto cominciò».
Tra gli anni Cinquanta e Sessanta, l'attrice ha preso parte a molti sceneggiati televisivi. Certo era una tv diversa: «Mai sarebbe accaduto, nella Rai di allora, che uno spot pubblicitario interrompesse un dramma di Ibsen. Ora ne combinano anche di peggio».
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