
Via tutto, gli U2 sono tornati nudi e crudi. Trovatela un'altra band strafamosa e stramiliardaria che a 37 anni dall'esordio abbia ancora voglia di giocarsi la faccia con quell'oggetto in via di estinzione che è l'album. Tredici brani (quattro in più nella versione deluxe, sette nel doppio vinile). Tempo di attesa: due anni e mezzo abbondanti. Data di uscita planetaria: domani. Referto: gran disco. In alcuni brani di Songs of experience (ad esempio American soul, Lights of home, The blackout) ci sono i migliori U2 da almeno dieci anni, quelli più vibranti e sofferenti. Quelli con The Edge che fa davvero The Edge, chitarra affilata e fraseggi essenziali ma di rara efficacia come in Lights of home (con Haim) oppure limpidi alla maniera di The Joshua Tree come in Get out of your own way.
«L'innovazione sonora è un punto chiave di ciò che siamo come band», spiega Bono e chi può negarlo. Ma ci vogliono le buone canzoni, altrimenti va bene la sperimentazione ma poi tutto finisce lì.
Invece Songs of experience (come Songs of innocence, il titolo è ispirato alle raccolte del poeta William Blake) è una passerella di stati d'animo e di musica che li racconta con bella aderenza, piegandosi alla dolcezza malinconica (Landlady) oppure all'indignazione irruente (American soul) o persino allo sgomento di affacciarsi da ricchi turisti sullo stesso mare che per molti diventa tomba (Summer of love, con Lady Gaga ai cori, e Red flag day). Per scrivere i testi Bono ha seguito il consiglio del poeta Brendan Kennelly: «Scrivi come se fossi morto». Sono foto di se stesso, della sua famiglia, della sua band e di un paio di generazioni. Brevi lettere alla moglie dopo aver sognato di perderla (You're the best thing about me, molto trasmesso dalle radio ma non certo il migliore del disco) oppure alle figlie (l'incoraggiamento di Get out of your own way) e addirittura al pubblico con l'autobiografica vagamente dylaniana The Showman: «L'uomo di spettacolo ti dà un posto in prima fila sul proprio cuore». Ha avuto qualche momento, spiega Bono, nel quale «ho fatto i conti con la mortalità, quei momenti nei quali null'altro conta». Ha avuto un brutto incidente in bicicletta a Central Park con un bel po' di fratture, il nuovo disco che non prendeva forma, le polemiche fiscali, l'inevitabile ticchettio anagrafico che spinge verso i sessant'anni. Un periodaccio. «Ma lo ha migliorato come compositore», riassume The Edge. In sostanza, Songs of experience è agile e sorprendente già dalla lunga introduzione con la sua voce filtrata e sognante a spiegare che «l'amore è tutto ciò che abbiamo lasciato». Oppure dal «ponte» del grande Kendrick Lamar che parla tra Get out e American soul, che poi è uno dei due brani più politici, quello con il geniale neologismo «refujesus», crasi tra rifugiato e Gesù. L'obiettivo è il contrasto tra Stati Uniti «posto per ogni benvenuto» e la politica meno accogliente di Trump.
E c'è sempre lui anche tra le righe di The Blackout: «Un dinosauro si meraviglia di camminare ancora sulla Terra». Ci pensa The Edge a chiarire: «Parla dell'effetto di essere una rock band in questo periodo. Ma c'è un riferimento anche a Trump».
In poche parole, gli U2 viaggiano di nuovo su di una dimensione parallela, e spesso molto più alta, rispetto quasi tutti. Mica facile con tutte quelle cicatrici del successo e dell'età a ricamare il loro curriculum. Chapeau.
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