«La guerra si combatte con l'amore di una bimba»

«Ognuno di noi ha una storia straordinaria da raccontare. Anche le persone qualunque». E in fondo proprio questo è l'eterno racconto di Beppe Fiorello: lo straordinario delle persone qualunque. Il che spiega la nuova fiction cui (collaborando anche a soggetto e sceneggiatura) il popolare attore pensava da anni: L'angelo di Sarajevo , su Raiuno il 20 e 21 prossimi, per la regia di Enzo Monteleone.

Una storia eccezionalmente vera. Per un uomo assolutamente comune.

«Sì. È proprio questo che mi colpì quando anni fa, casualmente, sentii il giornalista Franco Di Mare raccontare in tv quel che gli era accaduto mentre, per la Rai, seguiva da inviato la spaventosa guerra nella ex Jugoslavia. Ho sempre pensato a Di Mare come ad una persona assolutamente normale. E invece, facendo un servizio su un orfanatrofio colpito dalle bombe, e incrociato lo sguardo di una bambina sopravvissuta, di appena dieci mesi, egli ebbe il coraggio di raccoglierla, portarla con sé, salvarla dalla strage. Oggi quella bambina ha vent'anni. Ed è diventata sua figlia».

Quale il tema, dunque, di L'angelo di Sarajevo ?

«Una grande storia d'amore. Che nasce da una coraggiosa presa di coscienza. Gli inviati di guerra, di solito, si limitano, a raccontare il dolore senza entrarci dentro. Ma il protagonista della nostra storia si sente interrogato, chiamato in causa, dallo sguardo di quella bambina. Non si limita a restare alla finestra. Condivide il suo dolore e così facendo dà il via alla sua salvezza. E, attraverso la paternità, alla propria».

Spesso ci vuole un grande dolore, perché possa nascere un grande amore.

«È così. È il paradosso di questa storia: in guerra ci si ama di più. Ne ho avuto la prova girando nella vera Sarajevo, che oggi è rinata ma che, nello sguardo di chi ha più di trent'anni, conserva le tracce di quelle atrocità. Allora il fratello scannava il fratello; il padre il figlio. E, per reazione, chi si amava, si amava fino in fondo».

E poi c'è la celebrazione d'un mestiere affascinante quanto incomprensibile.

«Anch'io, naturalmente, mi sono chiesto: ma cosa spinge un giornalista a rischiare tutti i giorni la pelle? Non credo sia il banale amore per il rischio o l'avventura. Penso alla consapevolezza di ricoprire un preciso ruolo d'inestimabile valore civile. Che gli italiani esercitano con un human touch estraneo agli inviati di altre nazionalità».

I dolorosi giorni trascorsi spingeranno il pubblico a seguire una storia come questa?

«Quel che è successo a Parigi sa di sgomento e paura. Quel che accade in L'angelo di Sarajevo sa di amore, di speranza».

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