Cultura e Spettacoli

Guida alla vita precaria attraverso le recensioni delle stanze di hotel

L'albergo di infima categoria torna protagonista di molti romanzi Usa

I motel, uno dei topos della letteratura, dell'arte, della musica e della letteratura americana sono oggi al centro di una nuova attenzione. Tra pochi mesi in Italia tornerà Motel life di Willy Vlautin (da anni difficilmente reperibile nel catalogo Fazi), un capolavoro di trama e scrittura; è appena tornato nelle librerie, per Il Saggiatore, anche Motel Chronicles del Premio Pulitzer Sam Shepard: più che un libro un autentico viaggio nel cuore dell'America più nascosta, nelle viscere di quegli Stati Uniti che nascondono spesso la polvere sotto la moquette (dei motel). Da pochissimi giorni, invece, Bompiani ha pubblicato Hotel del Nordamerica (traduzione di Licia Vighi, pagg. 215, euro 18) di Rick Moody, scrittore americano autore del romanzo La tempesta di ghiaccio, poi diventato un film diretto da Ang Lee e vincitore della Palma D'Oro a Cannes per la miglior sceneggiatura. Questo sesto romanzo di Rick Moody si presenta come una sorta di guida dei motel americani. Una guida scritta da un recensore depresso e solitario, che guida una Saab usata, un uomo di mezza età con problemi di peso e una stempiatura in progressione: Reginald Edward Morse. Il protagonista vuole colmare una lacuna dei quotidiani americani (e non solo): le recensioni degli hotel. Morse, un telegrafista della critica, è il più famoso recensore del sito «ValutaIlTuoSoggiorno.com». Niente sfugge ai suoi occhi arrossati dalla stanchezza. Al Viking Motel di Eugene, Oregon, ad esempio, in un momento di solitudine e di ubriachezza, Morse crolla sul pavimento e non può fare a meno di notare la «polvere, il sangue, le macchie di liquido seminale, briciole di cracker e parti di insetti» rimasti intrappolati nel tappeto. È il tipo di dettagli minimali per cui molti lettori amano i suoi articoli. Edward Morse si muove di stanza in stanza, di albergo in albergo «senza mai un tetto sulla testa», come un nomade moderno. La sua vita somiglia a una triste metafora del nostro tempo, in cui la stabilità e le cose a lungo termine sembrano esperienze sradicate dall'ordinario. Morse cataloga saponette e bagnoschiuma e nel frattempo è tormentato dal ricordo «della donna che diventò la sua ex moglie», si unisce furtivamente con amanti sporadiche e passa notti da solo a contemplare l'abisso.

Il capitolo più potente è senz'altro quello del lamento di Morse mentre ricorda la figlia di cui sente la mancanza: «Mi manca, mi manca, mi manca tutti i giorni». C'è una sorta di violenta bellezza nell'uso di questo tipo di frasi, un'energia che è come uno schiaffo al lettore, ma che finisce sempre nel comico o nel patetico. Gli hotel, che per definizione sono l'antitesi del concetto di «casa», sono in America uno spazio in cui ci è possibile condurre «una seconda vita, una storia mai vissuta prima in un luogo diverso dal tuo quotidiano, e in cui ogni sogno recondito diventa possibile, ogni appetito saziabile». Solo alla fine scopriamo chi realmente è Reginald Edward Morse: è l'uomo moderno, che ha perso tutto dopo la crisi finanziaria del 2008, preoccupato della sua linea e del suo corpo che vede andare sempre più alla deriva, si sforza di esprimersi a sprazzi in modo forbito e avverte la voglia di buttarsi sotto un autobus. Ma Reginald Edward Morse non ha tempo di piangere: c'è sempre un'altra stanza da recensire.

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