«Ho chiuso con l'alcol per resuscitare Superman»

Russell Crowe presenta L'uomo d'acciaio, da giovedì nelle sale. "Quella S è il simbolo più famoso al mondo dopo la croce"

«Ho chiuso con l'alcol per resuscitare Superman»

Taormina - Finalmente sobrio e dimagrito, Russell Crowe torna sul grande schermo con L'uomo d'acciaio (da giovedì in sala) di Zac Snyder, uno dei film più attesi della stagione. E stavolta «il gladiatore» veste gli insoliti panni d'un padre kryptoniano. Conseguente con l'immagine che di sé ha dato, finora, il fumantino Crowe. Interpretando il padre biologico di Kal-El, alias Clark Kent (Henry Cavill), l'attore riprende il ruolo che appartenne a Marlon Brando nel Superman di Christopher Reeve, datato 1978. Confronto difficile, ma superato a pieni voti. Lo abbiamo incontrato, in gran forma, disponibile al sorriso e alla battuta (merito d'un nuovo amore?) al Festival di Taormina, in occasione dell'anteprima italiana de L'uomo d'acciaio, al Teatro Greco.

È il primo film-fumetto che interpreta. Che cosa l'ha convinta, del suo personaggio?
«Ho affrontato un personaggio leggendario, che emerge da un passato remoto sul quale non m'ero documentato. Situazione insolita, per me: non potevo mica viaggiare su un altro pianeta per scoprirne i segreti. Per fortuna, mi sono affidato a un regista eccellente. Snyder ha reinventato il mio personaggio, connotandolo in modo soprannaturale. Oltre il limite dei supereroi».

Come scegli i personaggi?
«In base all'influenza positiva che hanno su di me. Se ne resto impressionato, é fatta. Non m'importa da dove mi arrivi il personaggio che devo interpretare. Se la storia é interessante, mi diverto ogni singolo giorno di lavoro».

La critica Usa interpreta in senso cristologico la figura di Jor-El: c'é un padre che manda un figlio a compiere un sacrificio per salvare l'umanità. Condivide questa lettura?
«Sono padre di due maschi ancora piccoli e di sacrifici ne ho fatti, come genitore. Per immedesimarmi nel genitore che deve operare una scelta, di fronte al dilemma se sacrificare il figlio in nome di un bene superiore, mandandolo su un altro pianeta, a salvare un'altra razza, o se tenere il figlio per sé, magari condannandolo a un deserto, mi sono chiesto se sarei stato disponibile. Mi sono risposto che sì, avrei sacrificato mio figlio per un bene superiore. L'interpretazione cristologica é possibile».

Il mondo dei fumetti le è familiare?
«Non sono un esperto ma so di che si tratta. Per esempio, adesso so che la S gialla e rossa sul costume di Superman é il secondo simbolo più conosciuto nel mondo, dopo la croce cristiana. Superman é il primo supereroe della storia del cinema. Un sovrano dimenticato, un vecchio eroe che andava resuscitato».

Per calarsi nel ruolo si é confrontato con Marlon Brando, magari vedendo il Superman di Christopher Reeve?
«No, non sono il tipo che fa filologia. Però Marlon Brando è l'attore cui devo la mia formazione professionale, non fosse altro perché ho visto più e più volte Un tram chiamato desiderio, trovandoci ogni volta nuovi spunti. Proprio a proposito di Brando, mi è successa una cosa strana. Un episodio che ha del magico e del misterioso».

Di che cosa si tratta?
«Quando Brando morì, mi chiamò una sconosciuta, per dirmi che doveva darmi un oggetto da parte sua. Rimasi perplesso, perchè con Marlon non avevo mai avuto contatti diretti. Quella donna mi consegnò un libro di poesie di James Kavanaugh, intitolato There Are Men Too Gentle To Live Among Wolves. La cosa più interessante, a parte la scelta mirata del libro, è che, in una nota a margine, con la sua calligrafia ampia, Marlon m'aveva scritto un messaggio. Che diceva come gli fossero piaciuti i mie film, particolarmente Master and Commander e A Beautiful Mind. Ho provato un'emozione indicibile, l'ho preso come un segno del destino».

Ha riacquistato la sua buona forma fisica. Merito d'una dieta particolare, di un nuovo amore in vista?
«(Ride - ndr) Dopo una certa età, qualsiasi ruolo tu voglia interpretare devi stare a dieta.

Il dietologo m'ha prescritto una dieta senza glutine, faccio sport e non bevo. Stavolta, il mio personaggio era difficile e ci voleva disciplina. Non abbiamo lavorato soltanto col blue-screen, in realtà avevamo un set enorme. Che mi dava la meravigliosa sensazione di trovarmi da un'altra parte».

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