"Ho scritto parole per tutti da Battisti a Celentano. Ora invece riscrivo Verga"

L'autore si cimenta nella pièce «La Capinera» con le musiche di Gianni Bella e la regia di Ferretti

"Ho scritto parole per tutti da Battisti a Celentano. Ora invece riscrivo Verga"

Insomma è la sua nuova sfida. A 82 anni Mogol non ha voglia di godersi il passato e basta. Il 9 dicembre al Teatro Massimo Bellini di Catania andrà in scena La Capinera, un «nuovo melodramma» come lo definisce lui, che è tratto dal romanzo di Verga e ha le musiche di un genio sfortunato del nostro tempo, Gianni Bella. E la regia è di un triplice premio Oscar: Dante Ferretti che è alla seconda regia in carriera. Ma le parole sono sue, ossia del nostro più importante autore di versi popolari del secondo Novecento: «E' la storia vera di una novizia che ho cambiato un po' rispetto all'originale, specialmente nella parte conclusiva». Ascoltando il primo atto, le musiche hanno un impatto coinvolgente che riporta talvolta a Rossini ma è decisamente più attuale. E il linguaggio, beh quello è Mogol 2.0, l'estrema sintesi del suo talento: «Dobbiamo far conoscere ai giovani il passato ma non possiamo rinunciare al futuro», spiega lui nel suo Cet, il Centro Europeo Tuscolano sperduto nell'Umbria più incontaminata.

Qual è la lingua di Mogol oggi?

«Entro sempre di più nel profondo dei temi della vita. Da poco mi hanno messo quattro bypass, l'intervento è crudele perché ti aprono lo sterno e ti prendono le vene dalle gambe, una roba che ti fa tanto riflettere. Ma in quel momento forse ho scoperto che la vera forza è accettare il destino. E questo mi aiuta anche nella scrittura. Sa quale dovrebbe essere una nuova materia da insegnare a scuola ai bambini delle elementari?».

Dica.

«Il senso della vita. La vita è l'unica materia che non si spiega a scuola. Mi batterò per questo».

Quanto ha impiegato a scrivere La Capinera?

«Non tante ore, diciamo poco più di sei, in momenti diversi».

Quando era più giovane scriveva per Lucio Battisti.

«Io scrivevo, lui cantava. L'attore ero io, ero io a parlare. Nella mia scrittura iniziale con Lucio, ero molto più aulico. Poi ho iniziato a capire che la poesia è una forma nobile di sintesi, quindi sono diventato più semplice».

Però bisogna avere un vocabolario ampio.

«Il mio vocabolario arriva dall'educazione della mia famiglia. A casa mia si diceva giornata uggiosa (come il disco con Battisti del 1980 - ndr) che altrove non si sentiva. L'altro giorno, dal benzinaio, ho sentito una persona normale dire che era una giornata uggiosa e ho capito un'altra volta l'impatto incredibile e fortissimo che ha la musica popolare sul nostro linguaggio. Mia mamma ad esempio aveva una cultura fatta di proverbi popolari milanesi, li conosceva tutti!».

Poi lei ha scritto parole per tanti, da Tozzi a Ramazzotti a Celentano tra gli altri.

«Anche con Adriano si è verificata la stessa situazione: era lui che cantava me e i miei pensieri, nei quali evidentemente si riconosceva».

Ma nel frattempo com'è cambiato il suo rapporto con l'italiano?

«Rispetto agli inizi, a quando ero giovane, è cambiata la mia sensibilità, non il mio stile. In Storia di una capinera, che comunque è considerato il secondo romanzo italiano più influente dopo i Promessi Sposi, il Verga usa parole come fiorellini: nella seconda metà dell'Ottocento rappresentavano il linguaggio comune ma oggi non credo abbiano senso in un'opera musicale».

A proposito, lei ha inventato un verbo: «ruscellare».

«Non c'era una parola che spiegasse l'amore con la stessa intensità inarrestabile, specialmente se pronunciata da una donna. Mi è venuta quella».

Oggi tante parole che vengono dalle canzoni pop entrano addirittura nel vocabolario Treccani. Come «Bufu» della Dark Polo Gang.

«Sì c'è un sacco di parole nuove che non sono vicine al mio sentire e fanno più che altro parte di una dimensione, quella di internet, che rischia di non servire soltanto alla vita ma di diventare addirittura la vita stessa. Si può sostituire a lei e i danni non sono prevedibili. In un aforisma ho scritto che siamo passati dal virtuoso al virtuale. Non è un buon segno, secondo me».

Lei come reagisce?

«Giorno dopo giorno, mi accorgo di non essermi adeguato a questa nuova tendenza. Ma, allo stesso tempo, mi accorgo anche che non mi dispiace per nulla».

E ora?

«Ho in mente un'altra opera, Chiara e Francesco, una delle storie più affascinanti che conosca. Sta a vedere che prima o poi la porteremo davvero in scena».

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