I dolori del giovane Walter Chiari

I dolori del giovane Walter Chiari

Walter Chiari divide più da morto che da vivo. Quando calcava i palcoscenici di tutta Italia, applausi universali. Ora polemiche a non finire. Walter non era così, Walter era colà. Pubblico da una parte e critica dall’altra. Amici e collaboratori contrariati dal ritratto proposto dalla fiction di Raiuno, sebbene realizzata con la consulenza del figlio Simone Annichiarico. Il quale, sul suo profilo di Facebook, ieri è stato costretto a rintuzzare le critiche. Sì, ci sono imprecisioni e episodi romanzati, ammette. Ma trattasi di fiction, non di documentario. In aggiunta, a miniserie conclusa, il grande amico Tatti Sanguineti e Simone si dividono clamorosamente sulla memoria di un episodio tutt’altro che secondario della vita dell’artista e del padre di lui. Secondo le ricostruzioni di Sanguineti, si sarebbe trattato di un picchiatore a morte di antifascisti nella sua veste di brigadiere di pubblica sicurezza. Ma il figlio non ci sta e parla di «fantascienza allo stato puro». Insomma, un bel guazzabuglio.
Prodotta da Luca Barbareschi con la sceneggiatura e la regia di Enzo Monteleone, Walter Chiari. Fino all’ultima risata ha riscosso un discreto successo di pubblico totalizzando quasi 6 milioni e mezzo di telespettatori e il 22,7 per cento di share nella seconda puntata (un milione e un punto e mezzo in più della prima, trasmessa domenica). L’audience e la buona prova di Alessio Boni nel ruolo del protagonista, tuttavia non bastano ad archiviarla come un prodotto di qualità.
Discontinua, costellata d’inesattezze e con dialoghi approssimativi, nella prima parte la fiction indugia sulla tempestosa vita sentimentale di Chiari, mettendo in fila le relazioni con Ava Gardner, Lucia Bosè e le altre bellezze che gli ronzavano intorno. La seconda puntata, invece, insiste sulla sua deriva intrisa d’inaffidabilità e solitudine, quasi fosse un comico da balera in disarmo. Come ci ha scritto Marco Berneck, suo assistente dal 1972 al 1978, il periodo d’oro dell’artista che «per anni ha riempito il Sistina a Roma, l'Odeon a Milano, il Politeama a Napoli e tutti i teatri d’Italia, è stato ignorato». Come sono stati ignorati il celebre numero del Sarchiapone e i lunghi assolo che accompagnavano ogni sera alla fine dello spettacolo. Walter Chiari era un vero animale selvaggio da palcoscenico. Nella fiction vediamo un povero Walter Chiari che si esibisce di fronte a uno sparuto gruppo di avventori di un locale di Montecatini...».
Anche le parti incentrate sul rapporto con lo stesso Simone risultano approssimative, alcune addirittura estrapolate da Il giovedì di Dino Risi (a cominciare dalle allergie alimentari del figlioletto che il padre cialtrone ignora superficialmente). Nella sua recensione, ieri sul Corriere della sera, Aldo Grasso ha descritto la fiction come una «rivisitazione superficiale e maldestra. E dire che con tutto il materiale di repertorio che esiste su uno dei più grandi “entertainer” dello spettacolo italiano era quasi impossibile costruire una fiction così brutta». E, provocando le ire di Barbareschi, si è chiesto quando la Rai si accorgerà che «finanziare una casa di produzione di un parlamentare in carica è cosa quanto mai inopportuna?».
Fin qui le divisioni causate dalla discutibile qualità della fiction di Raiuno. Se possibile ancor più aspra è la polemica che ha coinvolto Sanguineti e Simone Annichiarico. Il critico cinematografico che da anni lavora a una biografia dell’artista veronese, ieri ha annunciato la ricostruzione di un episodio inedito nella vita del padre di Walter. «Nel dicembre del 1926 - ha raccontato Sanguineti - nei sotterranei della Questura di Verona, il brigadiere di pubblica sicurezza Carmelo Annichiarico percosse a morte con un nerbo di bue, assieme a un tal commissario Palazzi, due antifascisti veronesi, i fratelli Panzieri, sottoponendoli a un interrogatorio “stringente”». In seguito a questa circostanza, sempre secondo Sanguineti, nel 1933 il ministero dell’Interno dispose il trasferimento della famiglia a Milano, mentre Walter, terzogenito di nove anni, rimase a Verona, ospite di un collegio correzionale, venendo a conoscenza dell’episodio solo nel primissimo dopoguerra. Il delitto - sempre secondo Sanguineti - rimase impunito, ma sconvolse la vita della famiglia: «Walter aspirò sempre a riscattarsi e fabbricarsi padri più nobili. Non si può capire nulla di lui se non si parte dalle botte prese da suo padre con il cinturone della divisa. Per questo voleva portare tutti i giorni suo figlio a Disneyland».
Sebbene il critico citi a conferma lo storico bresciano Mimmo Franzinelli e L’Arena di Verona del 3 marzo 1984, Simone Annichiarico cataloga tutta la storia come pura fantascienza. «Io non ho mai sentito parlare di questa vicenda del nonno in casa», sottolinea il figlio di Chiari e Alida Chelli. «Questa storia secondo la quale papà sarebbe addirittura stato in un istituto correzionale mi sembra surreale.

Fantasia spicciola. Viene da chiedersi perché si senta ancora oggi il bisogno di infangare il nome di Walter Chiari a tanti anni dalla sua morte. C’è qualcosa di morboso». Parole che hanno profondamente amareggiato Sanguineti.

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