I duetti di Jackson e Mercury dimenticati tra droga e follie

I duetti di Jackson e Mercury dimenticati tra droga e follie

Forse è la volta buona. Se ne parla da trent'anni di questi benedetti brani di due stelle maledette dal destino, Michael Jackson e Freddie Mercury. Finalmente in ottobre saranno pubblicati. Tre duetti tre. Finora nascosti. Sognati. Spiegazzati dalle indiscrezioni. State of shock, Victory, There must be more to life than this. Li hanno incisi insieme, anzi li hanno tutt'al più abbozzati, nello studio di registrazione privato di Jackson a Encino, dove tuttora vive mamma Katherine. Era il 1983 e sembra quasi impossibile che siano rimasti nel cassetto fino a ora. Impossibile ma vero: non c'è nulla di più rigido dei veti incrociati dei management. Tanto più che, a giudicare dai ricordi di chi c'era, i due non erano diventati amiconi. Anzi. Jim Beach, il manager dei Queen ha ricordato al Times di Londra una telefonata bella tosta del cantante: «Mi devi portar via di qui, sto cantando con un lama in studio di registrazione». L'aveva fatto entrare Michael Jackson che, secondo l'Hollywood Reporter, non era entusiasta di vedere il collega «farsi un sacco di cocaina in salotto». «Non siamo mai rimasti tutti e due nello stesso Paese il tempo sufficiente a finire il lavoro», ha tagliato corto Mercury in An intimate biography con una frase che vuol dire tutto. O niente. Dopotutto l'idea iniziale era quella di registrare un disco intero di duetti, che sarebbe diventato un super best seller perché Thriller era appena stato pubblicato e i Queen erano freschi di Hot space (con tanto di duetto con David Bowie in Under pressure). Perciò, se la coppia impossibile non riuscì a completare neppure tre brani, a qualcuno è venuto il sospetto che non andasse d'amore e d'accordo. Chissà.
In ogni caso le canzoni hanno continuato a gironzolare qui e là. Per capirci, Freddie Mercury ha inciso There must be nel suo disco solista Bad guy (però in rete circolano due demo delle registrazioni del 1983, in uno dei quali Mercury si limita a suonare il piano, dicendo anche qualcosa in sottofondo). Invece Jackson ha registrato State of shock con Mick Jagger nel disco dei Jacksons del 1984, che si intitolava Victory ma non conteneva il brano omonimo perché non convinceva la band (difatti è l'unico del quale non si conosce quasi nulla). Tutto qui? Macché. Mick Jagger cantò State of shock con Tina Turner al Live Aid del 1985 proprio poco prima che i Queen impacchettassero un'apparizione di venti minuti tra le più belle della loro carriera (favolosa We will rock you che sconfina in We are the champions).
Insomma, il trio di duetti è rimasto incatenato dai divieti fino al 2011, vent'anni dopo la morte di Mercury e due da quella del Re del Pop. Poi Brian May, il chitarrista che è il curatore della memoria dei Queen (per passione o rimpianto, mica per soldi: solo con i diritti d'autore resterà ricchissimo finché campa), è riuscito a ottenere la liberatoria dalla famiglia di Michael Jackson e pronti, via: al mixer è arrivato anche William Orbit, che è un produttore con il suo perché, visto che ha lavorato in Ray of light di Madonna e in 13 dei Blur.
Dunque le tre tracce sono state “restaurate”, ossia ripulite dalle imperfezioni tipiche delle registrazioni demo. Brian May, che diplomaticamente ha riassunto il suo lavoro come «eccitante, stimolante, emotivamente faticoso ma fantastico», ha aggiunto i suoi assoli, che potrebbero trasformare i brani in un duetto di Michael Jackson con i Queen (pare che anche Roger Taylor abbia suonato alcune parti di batteria). Per farla breve, tra un paio di mesi sarà possibile ascoltarli. E, al netto di nostalgia e pettegolezzi, sarà una bella emozione. Dopotutto sono voci che hanno colorato, increspato ed eccitato chiunque ami la musica leggera. In modi diversi. E con teatralità diversa. Il virtuosismo di Freddie Mercury era istrionico, abbracciava il pubblico partendo dalla “pancia” e le sue linee melodiche avevano climax quasi neoclassici.

Jackson partiva dall'animo e, nella vocalità nera, mescolava ossessioni e manie di perfezione in un intreccio che nessuno ha mai ricamato in modo così personale. Insieme erano indubbiamente complementari. E (ri)ascoltarli ora mentre cantano nel momento più bello e fertile della loro carriera sarà un tuffo al cuore per tanti. E una lezione per molti di più.

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