Sono tutti liberi professionisti; il cantante, Giuseppe Avanzino, è un medico. Ma la loro passione è la musica popolare, anzi, la musica dialettale. Così si sono messi insieme, hanno deciso di chiamarsi Mandillä (che vuol dire ladruncolo) e hanno cominciato a rivisitare e soprattutto tradurre il repertorio di Fabrizio De André in genovese.
Così, nel 2010 (anche se la band, con una formazione diversa, è in attività dal 2008) ha preso il volo la carriera dei Mandillà che, dopo due demo, hanno ora pubblicato l'album Mandillà da o vivo, registrato al Teatro Lux di Sestri Levante. «Volevamo lavorare sul dialetto genovese sganciadoci il più possibile dai canti tradizionali - suggerisce Avanzino -; per noi De André è Genova, è la Liguria, è la nostra poesia. Celebrarlo è stato un po' come ricuperarlo, riportarlo da noi. Prima di essere scoperto era già un mito a Genova. Ricordo che un amico di mio padre un giorno gli disse: Senti questa canzone che ha scritto un giovane. Era La canzone di Marinella. Quando è morto era diventato un fenomeno talmente importante a livello nazionale che abbiamo voluto in un certo senso riportarlo a casa». Così sono rinate Creûza de ma, Bocca di rosa (Bocca de rêuza), Dolcenera (Dolceneira) e tutti i grandi successi di Faber. «Naturalmente abbiamo dovuto fare i conti con tante cose. Brani come La domenica delle salme e Amico fragile sono impossibili da rendere in dialetto, così come alcuni brani erano impossibili da contestualizzare in quanto narranti storie troppo circoscritte. È il caso di Don Rafaè, che non può uscire dal contesto partenopeo senza perdere il suo carattere di denuncia sociale». I Mandillä vivono soprattutto di concerti; in Liguria sono ormai popolarissimi («specifichiamo che siamo genovesi ma veniamo dal Levante, quindi le sfumature dialettali sono un po' diverse») ma hanno anche un discreto carnet di concerti in Piemonte. E poi il loro disco (naturalmente autoprodotto e autodistribuito) comincia a vendere anche a Roma e a Napoli.
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