Cultura e Spettacoli

I Pink Floyd divisi anche dalla politica

I Pink Floyd divisi anche dalla politica

Non si fa mancare nulla. L'ultima prodezza è stato un assist a Xi Jinping: «Taiwan fa parte della Cina, andate a studiare se non lo sapete». Come a dire, fa bene il regime cinese a volersela riprendere anche con le armi. Dopotutto di Roger Waters negli ultimi decenni si è parlato più per le sue solite dichiarazioni che per la nuova musica, ed è un peccato visto che è uno degli artisti più significativi della storia del rock. Fondatore dei Pink Floyd, autore tra l'altro di Money o Another brick in the wall è definitivamente l'unico dei grandi rocker del Novecento a vivere non di ricordi ma di polemiche. Ufficialmente è un pacifista, socialista ed elettore del Partito Laburista. In pratica è un anarchico contestatore che, uno dopo l'altro, ha contestato Tony Blair, i due Bush, ovviamente Trump e pure Biden, pacatamente definito l'altro giorno «un criminale di guerra» che «sta alimentando il fuoco in Ucraina» quasi a rispondere al primo brano inedito pubblicato in 28 anni dai suoi ex Pink Floyd, ossia Hey Hey Rise Up in supporto al popolo ucraino. Già l'Ucraina. Roger Waters spera che Zelensky non sia «anche lui un gangster» e che faccia «ciò che è meglio per la sua gente».

Più che un rocker, un capopopolo. Più che un artista, praticamente una sorta di grillino che va in tour a bordo di «vaffa». Un'«ira funesta» che già nel 1984 lo portò fuori dai Pink Floyd dopo The final cut, album complicato nel quale, oltre ad attaccare pure Margaret Thatcher per la guerra delle Falkland, si era preso praticamente tutto lo spazio lasciandone pochissimo a Gilmour e a Mason, sopravvissuti alla precedente purga che aveva allontanato dalla band il fondamentale polistrumentista Richard Wright (poi morto nel 2008). Da quel momento è ufficialmente iniziata la battaglia solitaria del soldato Waters, soldato ideale mentre suo padre lo era per davvero ed è morto ad Aprilia nel 1944 dopo lo sbarco degli Alleati ad Anzio mentre Roger era in fasce a casa, nei dintorni di Londra, e non lo conobbe mai. Dopo neanche trent'anni invece il mondo conosceva benissimo questo ribelle talentuoso che con The dark side of the moon ha scritto alcune delle canzoni più belle del secolo. Ora lo conosce molto meglio, e non sempre lo apprezza. All'inizio di luglio, quando ha iniziato l'ennesimo tour a PPG Paints Arena di Pittsburgh, sul palco ha subito fatto un bel discorsino democratico al proprio pubblico: «Se non sei d'accordo con la mia politica, faresti bene a andartene a fanc... al bar in questo momento». Peccato che il pubblico avesse pagato un (non economico) biglietto per seguire non un comizio ma per ascoltare capolavori come Wish you were here o Shine on you crazy diamond che con la politica c'entrano poco o nulla. Ma tant'è. Roger Waters è il rockettaro delle cause perse, che sono poi quelle gonfie di ideologia, magari di utopia e senza dubbio di retorica. Ha idee rispettabili (come tutte) ma non rispetta chi non le condivide (come fanno gli integralisti). Una generica battaglia contro i non meglio definiti «potenti». Poco tempo fa, mentre l'intervistatore della Cnn gli ricordava che la guerra in Ucraina era stata iniziata da Putin, ha risposto: gli americani sono entrati «in guerra dopo Pearl Harbour. Grazie a Dio i russi avevano già vinto con il sangue la guerra, con ventitré milioni di russi morti per proteggere te e me dalla minaccia nazista». Se lo dice lui. Così come su Israele: «I palestinesi sono trattati come gli ebrei nella Germania nazista».

Insomma, una gragnuola di dichiarazioni tranchant che piacciono agli estremisti ma fanno capire perché i Pink Floyd non torneranno mai più insieme.

Commenti