Cultura e Spettacoli

«I sentieri delle Ninfe» portano ovunque

Andrea Caterini

In un libro su Francis Bacon, Dipingere l'invisibile, Fabrizio Coscia aveva compreso che la forza delle immagini gli impediva qualsiasi tipo di racconto. Ovvero, l'immagine manifesta dei quadri di Bacon evidenziava l'impossibilità di una narrazione. In questo suo nuovo lavoro, I sentieri delle Ninfe (Èxòrma), la questione sembra capovolta. Attraverso il ragionamento intorno alla Ninfa, figura sfuggente che getta nella disperazione chi cada nelle maglie del suo potere erotico, figura liquida, quasi incorporea (individuata in una rosa di personaggi letterari e artistici: dalla fanciulla ritratta in un quadro del Ghirlandaio alla Laura petrarchesca, dalla Lolita di Nabokov all'Albertine proustiana, fino a quella forse più di tutte messa a fuoco, ovvero la modella, e moglie, di Pierre Bonnard, Marthe, dipinta dal francese in più di trecento tele), Coscia cerca di afferrare un'immagine. Ma per afferrarla, cioè per realizzare - o vedere - egli stesso un'immagine, deve tornare al racconto, alla narrazione. La narrazione, però, non sarà mai esattamente un'immagine, per questo il libro, nel suo accumulare figure ninfali, ha un movimento rotativo, come di qualcuno che corre impaurito dentro un labirinto.

Ma Coscia, attraverso la Ninfa, ci fa capire anche da cosa nasca quella paura che si diceva, e lo intuiamo nel passaggio in cui prende in esame La voce umana di Cocteau. Qui c'è solo una donna che si dispera con l'uomo che ama e che le parla dall'altro capo del telefono; un uomo che la sta abbandonando. Quella voce ci è tenuta nascosta, la possiamo riconoscere solo dai comportamenti e dalle parole di chi la sta ascoltando. Se quella voce sconosciuta non fosse che l'immagine non dell'amato, ma dell'alterità che ci abita e ci rivela per quello che non sapevamo d'essere, quindi svelando la verità, pure terribile, di noi stessi? Se la Ninfa è soprattutto rappresentazione del desiderio, ci si domanda se sia la nostra origine o la nostra fine. Forse, quel senso di estraneità che finalmente riconosciamo in noi stessi è quanto di più vero afferma l'autore: «Le Ninfe decretano la nascita, ma anche la morte; la morte, ma anche la resurrezione.

Perché sono dentro di noi, sono il destino che è in noi: sono all'origine e alla fine del mondo».

Commenti