Cultura e Spettacoli

I venerati maestri ci lasciano. E quelli nuovi non arrivano

La recente scomparsa di molte figure di riferimento causa un vuoto culturale. In ritardo il ricambio generazionale

I venerati maestri ci lasciano. E quelli nuovi non arrivano

Alessandro Mendini è scomparso in febbraio. Quest'estate se ne sono andati Marisa Merz, Eliseo Mattiacci, Antonio Trotta e la visionaria gallerista bolognese Ginevra Grigolo. L'anno scorso ci avevano lasciati, tra gli altri, Mauro Staccioli, Getulio Alviani, Valentino Vago, Nagasawa, Nicola Carrino, Piero Guccione, Giancarlo Vitali, Marco Gastini. Senza contare i grandi storici Gillo Dorfles, Vittorio Fagone, Enrico Crispolti.

Non vuole questa essere un Spoon River dell'arte italiana, ma certo l'elenco fa impressione, anche se si parla di persone non giovani, che passarono la boa degli ottant'anni e che dunque ebbero una vita piena di soddisfazioni, ricca di incontri, fino all'ultimo protagoniste o comunque in scia a quella che è stata considerata, unanimemente, la nostra miglior stagione creativa dal dopoguerra. Chi più chi meno, si parla di donne e uomini dentro le svolte del loro tempo: tra Arte Povera, Op Art e programmata, concettuale, design, pittura colta ed essenziale, non erano certo loro estranei i «luoghi del dibattito», i nodi di discussioni anche aspre, le battaglie per affermarsi, una certa idea politica e militante dell'arte e della cultura che sarà stata unilaterale e a tratti conformista, ma certo non estranea al fermento della loro gioventù.

Da questo punto di vita si discostava dal gruppo Antonio Trotta, lo scultore cilentino cresciuto in Argentina e a lungo vissuto a Pietrasanta, morto alcuni giorni fa, convinto fautore della bellezza del marmo, nostalgico difensore dei valori della scultura, profondo contestatore di ciò che emerse dal '68 e tendenzialmente destrorso almeno di letture. Sarà questo il motivo per cui la notizia del suo addio al mondo è passata sotto silenzio?

Il punto è però un altro. Se quella generazione di artisti ha indubbiamente tracciato un solco, dopo di loro chi saranno i nuovi «venerati maestri»? Oppure, come sosteneva Edmondo Berselli nel lontano 2006, non ce ne sono davvero più? È chiaro che agli intellettuali servono come il pane i cosiddetti grandi temi per poter pontificare meglio e se li hai vissuti in prima persona la resa finale risulterà più realistica e convincente. Però a loro fu già estraneo sia il fascismo, sia la Seconda guerra mondiale, eppure ne parlarono a sfinimento, cominciarono le proprie carriere ai tempi del rilancio economico del Paese, cavalcando prima il boom e poi la contestazione, militanti tra '68 e '77, disincanti e ludici negli anni '80, fortunati ad attraversare il periodo più interessante dell'Italia, capaci di capire stimoli e insidie del tempo. Proprio per aver attraversato gli anni migliori sono riusciti a lungo a vivere di rendita e ogni volta che uno se ne va è come se si staccasse un altro pezzo di noi, della nostra gioventù. Dire addio a un maestro è triste, non trovare nessuno che prenda il suo posto addirittura tragico.

«E adesso che tocca a me?» si chiederebbe Vasco Rossi, e spero che citare un suo passaggio non gli dia fastidio. Perché in effetti i nuovi venerati maestri andrebbero cercati tra di noi, tra i cinquantenni-sessantenni i quali, pur non essendo stati troppo coinvolti ai tempi delle mancate rivoluzioni, di cose importanti ne hanno comunque vissute: il crollo del Muro di Berlino, la nuova carta geografica del mondo, la globalizzazione, le migrazioni, il terrorismo internazionale, il web, i social. Insomma, non è che gli ultimi decenni siano stati proprio così noiosi. E allora?

È come se fossimo diventati più timidi e insicuri, quasi che il minimalismo domestico e grunge degli anni '90 ci avesse abituati a raccontare i fatti nostri senza particolari prospettive universali e condivisibili oltre il condominio. Da non sottovalutare la questione mercato: negli anni '80, in particolare i pittori della Transavanguardia vendevano tutti, poi sono sopraggiunte diverse crisi, ma soprattutto i collezionisti hanno scelto la strada internazionale e gli artisti italiani hanno perso quei sostenitori militanti che contribuirono, per esempio, al successo iniziale dell'Arte Povera.

Tornando a chi aspirerebbe al ruolo di venerato maestro, Maurizio Cattelan è stato schiacciato dal suo successo e dalla sua solitudine; Rudolph Stingel passa per essere un straniero anche perché vive a New York; Vanessa Beecroft ha esaurito i temi alimentari che fecero tanto parlare; Francesco Vezzoli si è divertito molto, ma è un altro che va per i fatti suoi. Eppure l'arte italiana produce opere di qualità e anche con una certa tenuta formale e intellettuale. Bisogna munirsi di coraggio e cercare con più attenzione, approfittando anche del mercato relativamente basso e ricordandoci che buona parte dei «venerati maestri» scomparsi fino a pochi anni fa costavano pochissimo, rilanciati dai periodici revival e dalle mode.

Se gli interessi speculativi si mettono in moto soprattutto alla fine della vita e della carriera di un artista, chi fosse avveduto dovrebbe giocare d'anticipo, perché maestri italiani negli anni '90 ce ne sono parecchi e sarebbe ora di difenderli dall'avanzata del nulla.

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