Cultura e Spettacoli

Incubo Ellis Island: quando l'America non era l'Eldorado

Struggente "The immigrant" di James Gray Mikkelsen è un eroe giustiziere in "Kohlhaas"

Incubo Ellis Island: quando l'America non era l'Eldorado

La storia irrompe al Festival portandosi dietro i temi della fede e della redenzione, della giustizia e dei diritti individuali. Lo fa con due film rigorosi e/o evocativi nella ricostruzione, l'America dei primi anni Venti del Novecento, la Francia rinascimentale, in cui campeggiano volti che da soli bucano lo schermo. The Immigrant, di James Gray, si avvale di quelli di Joaquin Phoenix e Marion Cotillard, un eroe dostevskijano il primo, una eroina di Bernanos la seconda; Michael Kohlhaas poggia interamente sull'intensità di Mads Mikkelsen, già vincitore lo scorso anno a Cannes come migliore attore per La caccia.
Gray racconta il dramma di chi, fuggito dall'Europa delle rivoluzioni, dei pogrom, della miseria economica e sociale, spera di trovare nel Nuovo mondo ciò che ha in patria gli è stato negato. Ellis Island è la porta d'ingresso al sogno americano, ma non è sufficiente varcarla per essere salvi. Corruzione e sopraffazione sono a ogni angolo. Così Ewa (Marion Cotillard), polacca in fuga, con la sorella minore Magda, dal bolscevismo che ne ha annientato la famiglia, finisce nelle mani di Bruno, tenutario di bordelli, impresario di miserabili teatri. Quanto a Magda, la tubercolosi impedisce che venga ammessa, ma anche che venga espulsa. Prima va curata, poi si vedrà. La separazione da Magda, impedisce così a Ewa qualsiasi scelta individuale e la lega a Bruno, carnefice-benefattore. Eppure, lei ha una forza che, pur nell'abiezione, non la abbandona. Sa di essere colpevole agli occhi di Dio per la sua condotta, ma ciò che la tiene in vita è la volontà di riunirsi alla sorella, di impedire che quel legame, fragile eppure forte, possa essere spezzato. Per chi l'ha degradata, prova odio e disprezzo, ma non paura. E questo la rende indomabile e, in qualche modo, libera.
«Ewa è una donna che non può fidarsi di nessuno - spiega James Gray - ma questo significa che nessuno, Bruno tantomeno, possa contare qualcosa per lei, nel bene come nel male. È come se lui fosse per lei una figura invisibile. Ho scelto Marion Cotillard perché ha un volto incredibile, espressione allo stato puro».

Di origine russa (i suoi nonni erano di Ostropol, nell'attuale Ucraina), Gray considera The Immigrant «un film personale. Racconta una realtà di cui in famiglia ho sempre sentito parlare. L'angoscia mista a speranza di chi arrivava a Ellis Island come un naufrago, il tentativo di ricostruire un mondo perduto all'interno di quel Mondo nuovo trovato». Il film deve molto, come riferimenti scenografici, ai quadri realistici del primo Novecento di Bellows e di Shinn, nonché alle quadricomie di quel dilettante di genio che è stato l'architetto italiano Carlo Mollino.

Arnaud des Pallières ha invece scelto per il suo Michael Kohlhaas l'evocazione più che la ricostruzione fedele. Basato su un racconto di Von Kleist, il film è trasportato dalla Germania nella cornice transalpina delle Cevennes e del Vercors, aspri paesaggi di montagna. Racconta di un mercante di cavalli che subisce un torto da un signorotto locale, in un'epoca in cui il feudalesimo sta crollando sotto i colpi congiunti della centralità regale da un lato, dall'affermarsi di una borghesia mercantile dall'altro. Visto che non riesce a ottenere giustizia, Michael Kohlhaas reclama con le armi il diritto a farsela da sola. Alla fine, dopo una guerriglia atroce il potere monarchico ne accetterà le richieste. Ha avuto ragione, ma la ragion di stato gli presenterà poi il conto. Tutto il film ruota intorno al volto come intagliato di Mads Mikkelsen. «Cercavo qualcuno che fosse l'equivalente di Clint Eastwood con trent'anni di meno. E che dire, basta vederlo...» Ma nel film è interessante anche la tematica affrontata, il diritto alla resistenza e la liceità o meno della forza, il rapporto non sempre chiaro che esiste fra il battersi per la propria causa e il far si che ciò possa significare lottare per la causa di tutti. «Il mio personaggio - dice Mikkelsen - è uno che perde tutto per una causa ideale che diventa un'ossessione. La sua storia è un po' un viaggio psicologico nel cuore dell'uomo.

Ma non mi spingerei oltre, altrimenti sarei un politico non un attore».

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