"Per interpretare la Garland ho provato le sue paure"

In «Judy» l'attrice nei panni della star morta 50 anni fa «La fobia del palcoscenico me l'ha resa più vicina»

"Per interpretare la Garland ho provato le sue paure"

Sara Frisco

da Los Angeles

Renée Zellweger è tornata. Dopo sei anni lontana dal set - «Ma ho sempre lavorato, però lontano dalle cineprese» - l'attrice texana che con Il diario di Bridget Jones ha conosciuto il successo internazionale e con Cold Mountain ha ottenuto l'Oscar, è di nuovo protagonista, al cinema e in tv. Il 2019, l'anno dei suoi 50 anni, è quello del rilancio. Dopo essere arrivata su Netflix con What/If, miniserie in cui interpreta la parte di una perfida e sexy manipolatrice, è al cinema con Judy, il film di Rupert Goold che quest'estate ha debuttato al festival americano di Telluride e a quello canadese di Toronto e che la vede letteralmente sparire nei panni di Judy Garland. Un ruolo che molto probabilmente le regalerà un'altra (la quarta dopo Chicago, Che pasticcio, Bridget Jones! e Cold Mountain) nomination all'Oscar. I più giovani ricorderanno poco di Judy Garland, fra le più grandi star del dopoguerra. Fu la protagonista della prima versione di È nata una stella, uscito nel 1955, film il cui remake è stato recentemente interpretato da Lady Gaga. Per quel dramma l'attrice ottenne una candidatura all'Oscar ma non vinse. Non vinse nemmeno nel 1962, per Il processo di Norimberga. Nella sua bacheca c'era però una statuetta dell'Academy, assegnata nel 1940. Era il «Juvenile Award», per la sua interpretazione in Il Mago di Oz. Aveva 17 anni.

Il film in sala però, con Rufus Sewell nei panni del quarto marito di Judy, Sidney Luft, e Gemma-Leah Devereaux in quelli della figlia Liza Minnelli, racconta gli ultimi anni della vita della grande artista americana. «Molti lo identificano come un periodo tragico, ma per me non è così».

Facile non fu. Si avventurò in cinque matrimoni, ebbe problemi con l'alcool e la droga e morì per overdose da barbiturici, in un bagno di un teatro di Chelsea, a Londra.

«Già. Aveva solo 47 anni ed era in una situazione finanziaria spaventosa. Per un anno la bara sostò in una cripta in un cimitero di New York. Nessuno aveva pagato per la sepoltura. Se ne fece carico solo in seguito la figlia Liza Minnelli. Non conoscevo quel capitolo della sua vita, e i problemi che ebbe nei mesi che precedettero la morte».

Come si è preparata, per questo film?

«Con uno strumento moderno e meraviglioso chiamato internet. Mi sono immersa nella visione dei suoi video, su Youtube, e ho capito il suo straordinario talento e la sua sfortuna: Judy Garland era una donna che non riusciva a far capire al mondo chi veramente fosse».

Nel film Judy dice: «Sono Judy Garland solo un'ora, la sera. Per il resto sono una persona normale, che vuole cose normali. Solo, ho qualche difficoltà a ottenerle». A lei capita mai?

«Non proprio in questi termini. Però, è vero, a volte non è facile identificarsi nell'immagine che il pubblico conosce di te. Ma per un'attrice oggi è diverso. Io poi non lavoro a teatro, ho meno interazione con il pubblico».

Lei aveva già cantato al cinema, nel musical Chicago, e ora ritorna a dimostrare il suo talento vocale.

«Ho provato la stessa paura del palcoscenico che colpisce Judy nel film. Quella fobia era la mia. Infatti il regista ha voluto che cantassi davvero, su un vero palcoscenico, con un vero pubblico. Voleva che fosse palpabile l'autentica relazione fra un artista sul palco e il suo pubblico».

La sua trasformazione fisica nella Garland è incredibile.

«La parrucca scura mi ha aiutata moltissimo. Abbiamo iniziato il processo di trasformazione mettendo protesi e aggiungendo: trucco, rughe. Poi abbiamo tolto, ridotto all'osso, fino a trovare il giusto equilibrio. Una volta, a riprese quasi ultimate, il truccatore ha fatto il suo lavoro e a fine sessione ci siamo accorti che s'era dimenticato di aggiungere le rughe. Non si notava. Allora ho capito quanta fatica mi era costata questa interpretazione. Era dipinta sulla mia faccia».

Hollywood negli anni di Judy Garland non era un posto facile per le donne.

«Non lo era per nessuno, gli Studios avevano in mano i contratti e la vita degli attori. Per le donne era ancora più difficile. E la Garland, che iniziò quando aveva due anni, cantando Jingle Bells, fu una delle vittime».

Ora le cose sono

cambiate?

«Sì, siamo in un posto migliore. Certe iniquità di genere non hanno alcun senso per le ragazze di oggi. Per loro è normale pretendere gli stessi diritti, gli stessi mestieri, gli stessi salari degli uomini».

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