Invettive a ritmo di rap Il talent diventa cattivo

Su Mtv la nuova frontiera della musica in tv. I concorrenti si affrontano improvvisando rime su temi d’attualità Ammessi insulti e colpi sotto la cintola. Presenta (e debutta) Marracash

Invettive a ritmo di rap  Il talent diventa cattivo

Questi se le cantano chiare. Niente giri di parole. Nessun doppio senso, a meno che non sia cattivo. Arriva Spit, il talent show che Mtv (canale 8 del digitale terrestre) ha già fatto intravedere a dicembre e che dopodomani partirà in prima serata. A condurlo, debuttando da presentatore, sarà Marracash, il rapper italiano che ha mostrato di avere l’uso più spregiudicatamente glamour della lingua. King del rap, appunto. Il master of ceremony, l’mc della situazione. Esordio coraggioso. E pieno di riflessi perché, in fondo, sempre di talent show si tratta, e tutti sanno quanto disprezzo i rapper meno attenti abbiano riservato ai talent.

Questo però ha cromosomi tutti suoi. E un valore aggiunto in più: Spit può trasformarsi in una sorta di Folk Studio dei nostri tempi. Il Folk Studio era quella «cantina umida e puzzolente situata sotto un palazzo nel cuore di Trastevere» nella quale intorno alla metà degli anni Settanta gente come De Gregori o Venditti aprì una nuova strada della canzone d’autore. A Spit, mutatis mutandis, si potrà respirare la stessa aria creativa. Quarant’anni dopo. In poche parole, per nove puntate dodici rapper emergenti si sfideranno a colpi di rima, seguendo i canoni del free style. Stile libero. Vince chi rima meglio, chi sa essere più incisivo, toccante, efficace rimanendo costretto nei limiti, in sé pazzeschi e claustrofobici, della metrica. È l’essenza del rap. E, molto probabilmente, il germe della nuova canzone d’autore.

Per chi non se ne intende, non vorrà dire nulla e forse uno spettatore un po’ agèe sarà disorientato assistendo a queste sfide che hanno i contenuti frenetici di autentiche gare all’ultima parola. Io contro di te. Io cerco di metterti in condizione di non poter ribattere. Tutto a parole, ovvio. Ma sono competizioni che hanno radici nella storia dell’uomo, radici diversamente declinate a seconda dei periodi storici, «dalle lotte sulle quartine fino ai pirati» come spiega Mastafive, al secolo Johnny A. Mastracinque, figura seminale nella scena hip hop italiana sin dalla metà degli anni Novanta che qui, a Spit, è uno dei tre giudici insieme con J-Ax (non c’è bisogno di presentazioni, ex Articolo 31, pioggia di dischi di platino) e con Niccolò Agliardi che forse è il valore aggiunto, se non altro per il suo curriculum: è un cantautore pop nonché uno degli autori più dolci e brillanti in circolazione.

E forse anche uno dei più premiati, visto che ha addirittura vinto un Grammy Award nel 2009 grazie al brano Invece no scritto per Laura Pausini. La voce fuori dal coro. Saranno loro tre a votare le performance dei ragazzi, alcuni dei quali hanno peraltro alle spalle una carriera mica da ridere. Come Rancore, già autore l’anno scorso del cd Elettrico. Oppure Clementino, che ha appena pubblicato Rapstar con Fabri Fibra. E infine Loop Luna, cresciuta nel Stranimali Social Club e pronta a pubblicare un altro disco per Black Gums. Toccherà a loro improvvisare. Se De Gregori ha detto che i rapper sono i nuovi cantautori (e tanti altri hanno confermato) un motivo ci sarà. Intanto il raffronto storico.

Come per chi negli anni Settanta ha dato una svolta al cantautorato, anche in questo caso le attese musicali sono limitate: nei dischi che hanno fatto la storia di questo genere, le soluzioni stilistiche non sono state granché. Ma il fermento poetico, l’enfasi linguistica e anche polemica è la stessa. Anzi, essendoci minori vincoli ideologici e nessuna aderenza politica, a Spit c’è più libertà creativa.

E già dalla prima puntata (ospite Morgan, altro corsaro) chiunque potrà rendersi conto che la nuova canzone passa da questi slanci improvvisati, dalle scariche di adrenalina tradotte in versi che diventano giocoforza una radiografia di ciò che gira intorno. Il rap americano è morto, stroncato dagli eccessi parodistici di catenoni e macchinoni, e dalla sterilità di quel «dissing» che LL Cool J lanciò nel 1985 con il brano I can’t live without my radio. Offendere.

Prendere in giro. Ora, dopo aver fatto tabula rasa, siamo in un’altra epoca: la costruzione di nuovi stili. E adesso a Spit chiunque potrà scegliere quali siano quelli migliori. Il rap.2 passa anche da lì. Bravi, comunque.

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