"Io sono Tempesta", quando la cialtroneria è socialmente trasversale

Ennesima commedia sul rapporto tra ricchezza e povertà. L'intreccio è assai poco incisivo ma ci sono un paio di trovate felici e il solito Giallini, affascinante e divertente

"Io sono Tempesta", quando la cialtroneria è socialmente trasversale

"Io sono Tempesta", il nuovo film di Daniele Luchetti, è una farsa sociale con diverse virate al politicamente scorretto. Lo spunto da cui nasce è un fatto di cronaca, l'affidamento ai servizi sociali di Silvio Berlusconi, ma la sceneggiatura se ne allontana subito e prende una piega diversa.
Numa Tempesta (Marco Giallini) è un finanziere col fiuto per gli affari e pochi scrupoli, gestisce un fondo miliardario e abita da solo in un immenso hotel di lusso, in attesa di rivenderlo. Sta dando il via a un'operazione da milioni di euro in Kazakistan, quando, a causa di una vecchia frode fiscale, è costretto a scontare un anno di pena ai servizi sociali presso un centro di accoglienza per senzatetto e immigrati. Tra i tanti emarginati, stringerà amicizia con Bruno (Elio Germano), un padre che ha perso il lavoro e si trova a ricominciare tutto da capo.
"Io sono Tempesta", con un registro spensierato e toni talvolta grotteschi, vive del contrasto tra ricchezza e povertà, un sempreverde cinematografico, ma evita per quanto possibile di cadere nella solita retorica dei buoni sentimenti. I suoi personaggi, indipendentemente dalla classe sociale di appartenenza, sono tutti propensi a preferire il denaro allo scrupolo morale. La banda multietnica di derelitti è composta d'individui che non si piangono addosso, pronti a imparare dal faccendiere l'arte della furbizia un po' cialtrona e a goderne i vantaggi. E' così che il cinico gaudente li coinvolge nelle sue avventure finanziarie.
Il confine tra le buone azioni e quelle di convenienza è assai labile per tutto il film, l'unica figura apparentemente incorruttibile è la direttrice del centro (Eleonora Danco), progressista e cattolica, fiera dell'integralismo con cui porta avanti le proprie convinzioni.
Giallini, dal canto suo, riesce a incarnare anche il più anaffettivo degli esseri umani rendendolo simpatico: il suo Numa Tempesta è un antieroe sornione e accattivante, il cui fascino guascone non è certo inedito ma ancora godibile.
Mentre Elio Germano, qui coatto tra l'imbambolato e lo spiritato, non convince più di tanto, eccelle il giovanissimo (Francesco Gheghi) che ne interpreta lo sveglio figlioletto e appaiono credibili i comprimari, molti dei quali sono persone prese realmente dalla strada.
Allo sgangherato gruppo di poveracci, soddisfatti di venire a contatto con tanta opulenza, si aggiunge presto un trio di escort formato da studentesse di psicologia, una delle trovate più spassose del film. Grazie a questa "famiglia allargata", Tempesta scopre una serenità in grado di porre fine alle sue notti insonni causate da un rapporto mai sanato col padre. Ad ogni modo in lui non c'è vero cambiamento, sono gli altri a convertirsi al suo credo, quello dei mezzucci e dell'inganno.
Il fatto che i personaggi di contorno siano poco sfaccettati da un lato mina l'empatia ma dall'altro fa gioco all'assoluta mancanza di giudizio che si mantiene sulle loro discutibili azioni.

Non c'è moralismo, sebbene il film restituisca il ritratto dissacrante di un paese in cui ognuno, quando può, fa scelte di convenienza e in cui il divario economico tra diverse classi si accompagna spesso a una convergenza di ambizioni materiali e a un livellamento etico.
Tra le tante mediocri commedie italiane del periodo, "Io sono Tempesta" ha almeno il pregio di bandire ogni buonismo e di regalare un divertimento mai sguaiato.

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