Al terzo giorno, il festival si tinge di rosa e guarda indietro nel tempo, presentando un'immagine della donna molto diversa da quella attuale. All'insegna dello sguardo retrospettivo, che soltanto il cinema francese contemporaneo può permettersi mantenendo alto il livello di credibilità, Populaire, film fuori concorso, ha divertito e commosso. Presto sui nostri schermi, distribuito dalla Bim, questo disincantato mélo di Régis Ronsard, autore di documentari e videoclip musicali, si ambienta nel 1958 e mette al centro del racconto la ragazza di campagna Rose Pamphyle, interpretata con grazia da Déborah François, attrice sconosciuta al grande pubblico, ma talentuosa. La guerra è lontana e nella Bassa Normandia, dove lei vive col padre vedovo, Rose coltiva un sogno: diventare dattilografa. Per chi è nato nell'éra digitale, ecco il primo spunto educativo d'una piccola lezione di storia del costume. Perché qui di vecchie macchine per scrivere ne sfilano parecchie, hanno tasti alti e duri e nastri inchiostrati di blu e di rosso. È su quegli aggeggi faticosi che eserciti di dattilografe, in passato, hanno trascritto lettere e documenti. Oggi che di lavoro non ce n'è, sembra un miraggio d'altri tempi quel pestare sulla tastiera, giorno e notte, che mademoiselle Pamphyle s'infligge con dedizione. E il posto di segretaria da un assicuratore timido e spigoloso (Romain Duris) sarà suo. «La segretaria è di moda» si dicono alla selezione le aspiranti impiegate, ma lei ha una marcia in più: è caparbia. Più caparbio di lei è il suo datore di lavoro, che ovviamente la ama e non sa come dirglielo. E infatti preferisce allenarla duramente per i campionati di velocità in dattilografia. Con le unghie laccate di colori diversi per imparare a usare le dieci dita, ricopiando Madame Bovary, Rose s'impegna e vince: non solo sbaraglia la concorrenza francese, ma sbarcherà da vincitrice a New York, dove ottiene il primato di dattilografa più veloce del mondo. E, quel che più conta, avrà l'amore del suo allenatore. Dedicato a tutte le donne che, negli anni Cinquanta vollero emanciparsi, ma anche a quelle che ignorano di quanti sacrifici sia lastricata la strada delle conquiste femminili, ora date per ovvie, Populaire evoca la più delicata Nouvelle Vague, con La donna è donna di Godard sullo sfondo. Ironicamente pop, per la sua visione estetica (dischi in vinile, gonne a palloncino), il film ha nel cast Bérénice Béjo, apprezzata in The Artist e qui inserita nel ruolo della madre casalinga soddisfatta del suo ruolo (un'altra rarità da album dei ricordi, mentre le donne cercano lavoro per aiutare la famiglia in tempi di crisi).
E dalla Russia, con amore, planano in concorso le Spose celesti dei Mari di pianura di Alexey Fedorchenko. Anche per lui la storia si declina al femminile: in 23 racconti sulle donne del popolo Mari, ordisce un Decameron dall'atmosfera magica, sospesa sulla narrazione corale d'un mondo sconosciuto. Se la Russia conta 180 etnie, perché non partire dai Mari delle Pianure, una delle più grandi comunità ugro-finniche? E visto che solo lì si conservano tradizioni arcaiche come le preghiere collettive nei boschi, ecco approfondito lo sguardo sulle spose e sulle mogli celesti di quei luoghi. Indistinguibili dalle donne terrene, le spose di Fedorchenko preservano i propri usi d'antan, indossano i costumi delle nonne, si bagnano nude nei fiumi e si battono per salvare gli alberi delle loro foreste.
Anche il cinese 1942 di Feng Xiaogang volge lo sguardo all'indietro, nel cuore della Cina, durante la Seconda Guerra Mondiale, quando un giornalista Usa (Adrien Brody) e un prete cattolico (Tim Robbins) vivono la tragedia di un popolo alle prese con la carestia del '42. «Giova riflettere sullo ieri», dice Brody. E noi siamo con lui.
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