Non è facile seguire i percorsi sonori di William Parker, contrabbassista-alfiere dell'improvvisazione contemporanea, punto di collegamento tra il free jazz anni '70 e la musica d'avanguardia. Troppo varie le sue collaborazioni che spaziano da Cecil Taylor a David S. Ware; troppo articolato il suo percorso artistico che prende sempre nuove strade in nome dell'impegno sociale e della spiritualità partendo da album come Through Acceptance of Mystery Peace del '79. Parker si rinnova sempre partendo dalla tradizione, e domenica alle 11 suonerà in prima europea al Manzoni di Milano, per «Aperitivo in concerto», con una band di straordinari solisti (Lewis Barnes alla tromba, Rob Brown al sax contralto, Hamid Drake alla batteria) e con la voce recitante del poeta David Budbill.
L'ultima volta al Manzoni rivisitò il repertorio soul di Curtis Mayfield.
«La musica che interpreta i valori del popolo nero non ha confini di genere o stile. Mayfield scriveva canzoni che univano la bellezza melodica con il simbolismo dei testi, è stato un eroe della cultura nera».
Come sarà lo show con Budbill?
«Una fusione libera di parole e musiche, un incontro spirituale di testi e suoni che speriamo possano creare emozioni nel pubblico. Io e Budbill ci conosciamo dal 1988 e abbiamo cominciato a scrivere e suonare per la gente. A raccontare come si cambia, si cresce, si invecchia, come i rapporti interpersonali siano regolati da una natura superiore».
La spiritualità è fondamentale nella sua musica.
«Ci sono due vie per fare musica, quella accademica e quella spirituale. L'accademica è meravigliosa dal punto di vista esecutivo ma è limitata dagli spartiti. Quella spirituale è sentimento, è legata all'Universo e, quando è ispirata, diventa una forma di preghiera».
Però lei è anche molto impegnato socialmente.
«Suonare il jazz, o meglio la musica afroamericana improvvisata, impone un grande senso di responsabilità. Bisogna dare tutto quello che si ha dentro senza sprecare una sola nota. Cercare di piacere al pubblico e di coinvolgerlo. Il jazz è anche uno strumento di lotta. È politica perché cerca di cambiare la società».
C'è ancora molto razzismo in America?
«Sì, è molto presente nella società americana ed è difficile abbatterlo, anche se Obama cerca di fare il possibile. La gente di colore emerge e riesce a farsi ascoltare solo quando diventa una star dello sport o della musica».
Come i rapper?
«Il rap è un'occasione persa, un grande gioco economico. Avrebbe potuto essere rivoluzionario ma è diventato solo commercio. Basta guardare artisti come Jay Z».
Cosa significa per lei improvvisare?
«Agganciarsi all'Universo e mostrarne la bellezza. Avanguardia non è un termine che mi interessa. La musica improvvisata nasce dal cosmo e dalla tradizione afroamericana. Per questo il blues è centrale nel mio lavoro. Così come lo spiritual, la musica nelle chiese battiste e metodiste afroamericana era tutta improvvisata, con balli e canti che prendevano forma dalle emozioni del momento partendo dalla preghiera».
Quali sono gli artisti che più l'hanno influenzata?
«Il downhome blues di Charley Patton e Robert Johnson, il pianismo di Fats Waller, in generale i canti di lavoro e il movimento be bop. Nel campo dell'improvvisazione, a parte i miei maestri Jimmy Garrison e Wilbur Ware, gli anni con Cecil Taylor mi hanno mostrato la strada da seguire per fare suoni senza preconcetti né infrastrutture. Nel mio dna poi ci sono anche artisti come Ornette Coleman, Don Cherry, Willie Dixon».
Lei ha suonato anche con due, tre, quattro contrabbassi.
«Volevo portare al limite le potenzialità del mio strumento».
Lei ha collaborato con tutti ma è molto parco nelle incisioni.
«Ora recupero, questo mese pubblico un box di otto cd, intitolato Woodflew Songs, con personaggi come Rob Brown, Hamid Drake, James Spaulding e molti altri. In questo periodo la mia creatività è molto fertile, ne ho approfittato».
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.