Joyce gioca col canto

Sarà più facile per un pubblico «non avvertito» (intendendosi ironicamente non fossilizzato nei generi musicali come in compartimenti non comunicanti) apprezzare il «Songbook» realizzato dal mezzo soprano americano Joyce Di Donato. Abituati a sentirla dominare la parti di Händel, Mozart, Rossini e Berlioz (e le opere contemporanee di Haggie e Daugherthy), la sorpresa di sentirla sgattaiolare fra celebri arie di studio o barocche, circondate da arrangiamenti jazz, dura molto poco.

Il divertente è che quando ogni tanto fanno capolino alcuni vere canzoni jazz, come In my solitude di Duke Ellington, si capisce come la lente dell'invenzione, della rilettura e dell'arrangiamento jazz siano soltanto «trascrizioni più moderne».

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