È l'8 dicembre 1980. I colpi di pistola più famosi e infausti della storia del rock centrano, davanti al Dakota Building di New York, John Lennon che rientra a casa accompagnato da Yoko Ono. È la fine di Lennon, ucciso da un fan che qualche ora prima s'era fatto autografare una foto del nuovo album Double Fantasy, uscito dopo cinque anni di silenzio. L'assassino è Mark Chapman, un giovane mentalmente disturbato, che si sente tradito dal proprio idolo. Ora Chapman, dopo 34 anni e 59enne, si pente e chiede scusa. Lo fa davanti alla corte cui ha chiesto (per l'ottava volta dal 2000) la libertà condizionata. «Sono stato un idiota - ha detto Chapman - e mi dispiace di aver causato così tanto dolore, mi dispiace di aver scelto la strada sbagliata per la gloria... Era un uomo di grande talento e molte, molte persone lo amavano e ancora lo amano. All'epoca non pensavo ad altri che a me e in quella decisione ho visto una via d'uscita, un modo facile per superare la mia depressione. È stata una decisione terribile, ma sapevo quello che stavo facendo». Parole che suonano ancora farneticanti, quelle di Chapman, la cui richiesta di libertà condizionata è stata respinta per l'ennesima volta (potrà ripresentarla fra due anni).
Durante questi 34 anni in carcere, Chapman ha trovato la fede e si è reso conto, ha detto, «che si può scegliere tra Cristo e il crimine». L'assassino ha dichiarato anche che nella prigione dello Stato di New York dov'è detenuto riceve ancora molte lettere di fan dei Beatles che lo rimproverano per il dolore causato dal suo gesto. Lui dice: «La mia vita è nelle mani di Dio...
mi fido di lui». Ma di lui non si fida la commissione. Ha deciso che non può essere rimesso in libertà perché, «dopo una revisione dei dati e degli interrogatori, c'è una ragionevole possibilità che possa di nuovo violare la legge».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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