
D'accordo che il pop non sia una gara: nessuno vince, nessuno perde, al limite ci sono risultati migliori o peggiori. Però il 2013 è stato un anno che molte popstar non dimenticheranno perché, insomma, se non hanno fatto flop poco ci manca.
Lady Gaga ad esempio.
Al di là delle vendite (in una settimana negli States ha perso oltre l'80 per cento delle copie), ha raccolto per lo più una collezione di brutte recensioni di Artpop e di nostalgia di quando faceva musica per il pubblico e non soltanto per il proprio ego. Di certo, nel confronto di vendite e critica con Katy Perry, lei è stata inferiore, anche se Miley Cyrus e il suo twerking se l'è pappate entrambe. Vedremo il tour, che la signorina Germanotta annuncia come «indimenticabile» ma che potrebbe sottoscrivere la battuta d'arresto.
Un po' peggio, si direbbe, va per Britney Spears, una delle bocciate più clamorose del 2013. Il suo disco Britney Jean è entrato «basso» in classifica (addirittura 34esimo in Gran Bretagna) e, più che una serie di concerti trionfali, l'appena iniziata residency di due anni al The Axis di Las Vegas sembra un pit stop in attesa di nonsoche. Una sosta ai box, si presume definitiva almeno dal punto di vista creativo, l'hanno fatta anche i rapper chiassosi e violenti che hanno dominato gli anni Zero, da 50Cent fino a Eminem, che è ritornato con il bel disco The Marshall Mathers Lp 2 cui manca la caratteristica più forte di questo rapper: l'irruenza dei testi. Ciclo finito, pare. E non c'entrano (solo) i risultati di vendita, che comunque sono più che buoni: c'entra l'impatto sulla scena, che è decisamente ridotto rispetto a un decennio fa.
Così come per Robbie Williams, uno dei ritorni più attesi: il suo disco Swing both ways ha chiuso in testa in Gran Bretagna (con solo 200 copie vendute in più di quello di One Direction) ma negli States è stato come sempre trascuratissimo. E il prossimo tour della popstar sarà nei palasport (a Torino il primo maggio), mica negli stadi come negli ultimi anni. E poi? E poi il «fottuto grasso idiota» (Liam Gallagher dixit) inciderà un altro cd con i Take That, viva la nostalgia. In poche parole anche lui è disorientato.
Sarà la crisi del mercato e dei punti di riferimento degli ultimi vent'anni. O semplicemente l'inevitabile cambio generazionale che il web ha velocizzato a dismisura. Però è ovvio che il 2013 sia stato ovunque un anno di svolta. Anche in Italia. Ad esempio, per la prima volta l'estate dei concerti negli stadi non è stata monopolizzata da Vasco o da Ligabue ma da Jovanotti (nonostante anche Vasco fosse in circolazione).
E, nonostante nessuno dei veri big italiani sia stato azzoppato da clamorosi flop, l'anno che finisce ha sottoscritto un passaggio di consegne nell'aria da tempo: ormai, da Fedez a Emis Killa fino a Fabri Fibra e Clementino, Club Dogo e Moreno, sono i rapper a leggere meglio gli stati d'animo di quella fascia di pubblico che da tempo non si riconosce nei cantautori vecchia scuola.
I nuovi cantautori sono loro. Sono creativi, fanno «gruppo», si scambiano idee e collaborazioni, crescendo sostanzialmente insieme. A parte qualche eccezione: ad esempio dov'è finito Mondo Marcio, il più desaparecido di tutti?