Cultura e Spettacoli

L'ambiguo Leopardi. Un "giovane favoloso" e (quasi) ottimista

Mario Martone dirige Elio Germano nel ruolo del grande poeta. Ne esce un uomo "fuori dal coro" e pasoliniano. Che è una forzatura

da Venezia

Il titolo naturalmente è il programma. Il giovane favoloso , l'atteso film di Mario Martone sulla vita breve di Giacomo Leopardi in concorso alla Mostra di Venezia dove è stato molto applaudito e in sala il 16 ottobre, è il racconto di un uomo che - sintetizza il regista - «amava la giovinezza e la vita». Una visione un po' distante dal pessimismo cosmico che ci insegnano a scuola magari per confondere il suo messaggio anticomunista: «Non ho mai visto masse felici di individui felici». Elio Germano presta il corpo al malandato poeta: «Interpretarlo è stato un regalo». È lui che, con la sua recitazione letteralmente accartocciata, appollaiata e sghemba, riporta in vita un uomo che - spiega Martone - «da subito avverte tutte le gabbie che si formano nella vita di ciascuno di noi, la famiglia, il lavoro, la società. Come si sopravvive a tutto ciò? Venendo a patti con le ipocrisie, indossando le maschere. A cui però lui ha rinunciato perché, in anticipo su Proust, sa che solo la radicale esperienza di se stessi consente la partita con la verità».

Da qui le poesie che Leopardi crea nel suo natio borgo selvaggio e che Elio Germano fa uscire fuori come quasi fosse una liberazione di corpo, dietro la siepe. E non sembri blasfemo. Martone si sofferma più volte sui dettagli dei problemi di minzione di Leopardi. Uno dei gesti più naturali del mondo diventa per lui una croce. Anche da tutto ciò è uscita la sua opera travagliata.

Martone, in questa complessa produzione che è stata resa possibile grazie a Carlo Degli Esposti, Rai Cinema insieme alla Regione Marche con un suo consorzio di imprenditori illuminati, propone un vero e proprio viaggio con tappe ben definite. Si parte da Recanati dove Leopardi vive l'infanzia con la famiglia, la madre Adelaide anaffettiva e distante (Raffaella Giordano), il padre il conte Monaldo (Massimo Popolizio) che adora e protegge il suo figliol prodigio, i complici fratelli Carlo (Edoardo Natoli) e Paolina (Isabella Ragonese). Leopardi, murato in casa nella biblioteca delle sudate carte e dello studio obbligatorio matto e disperatissimo, guarda sempre fuori dalla finestra dove c'è la vita, Teresa Fattorini, la sua Silvia.

Ma Recanati è per Leopardi una gabbia fatta di mattoni orizzontali e libri verticali dove - dice - «tutto è morte, malinconia nera». Ecco la via di fuga delle lettere, inviate agli intellettuali dell'epoca, tra cui Pietro Giordani che lo porterà nella Firenze dei circoli intellettuali che già lo conoscono. «Ma, rispetto alla società culturale dell'epoca, Leopardi era mal sopportato, come se non rispondesse al bisogno che si sentiva in quella società idealista in lotta per l'unità d'Italia. In questo senso - azzarda Martone - l'ho paragonato a Pasolini che, come lui, non apparteneva a nessun coro». Che è un eccesso, anche se a Martone piacciono i paradossi.

A Leopardi i salotti non piacciono, li frequenta solo perché trasportato dal grande amico napoletano Antonio Ranieri (Michele Riondino). «Questi due non mi convincono», dice la padrona di casa interpretata da Iaia Forte. «Si è parlato molto della supposta omosessualità con Ranieri che, peraltro, racconta di un Leopardi morto casto - spiega il regista - e molte soglie avremmo potuto varcare nella vita del giovane favoloso. Ma abbiamo preso la decisione, estetica ed etica, di rimanere sulle carte».

A Firenze c'è l'invaghimento di Leopardi per la splendida Fanny (Anna Mouglalis) che però ha occhi solo per Ranieri. E la salute peggiora. Chissà che Napoli, per il clima e l'aria salubre, non sia il posto giusto per avere sollievo. Prima di giungervi, i due amici fanno tappa nella Roma papalina che a Leopardi ricorda la gabbia di Recanati da cui si può solo fuggire. A Napoli il regista racconta la sua di città, immergendo Leopardi nei vicoli, tra scugnizzi e prostitute, Lu cardillo e Lo guarracino. Un racconto che Martone aveva toccato a teatro con L'opera segreta sul testo di Enzo Moscato Partitura su Leopardi e Napoli. Qui Leopardi si spegne.

E il film si chiude lasciando intatto il mistero di un grande della nostra storia.

Commenti