Cultura e Spettacoli

L'arte va sulla Luna. Così un mito moderno ha cambiato l'estetica

Film, pop art, design: la mostra danese «Moon» racconta come l'uomo ha visto il suo satellite

L'arte va sulla Luna. Così un mito moderno ha cambiato l'estetica

Poiché i compleanni, in particolare di cifra tonda, si festeggiano sempre volentieri, è sempre più diffusa la moda delle cosiddette mostre commemorative legate a quegli eventi che hanno cambiato il nostro modo di essere e di vivere. Il 2018 ha visto, ovviamente, il proliferare di focus sul '68, editoriali ed espositivi. Cosa attenderci allora per il 2019? I cinquecento anni dalla morte di Leonardo, i trenta dalla caduta del Muro di Berlino, il mezzo secolo dal concerto di Woodstock e soprattutto dallo sbarco sulla luna.

Proprio quest'ultima sarà oggetto, il prossimo anno, di particolari attenzioni. Il Louisiana Museum, uno degli spazi più belli d'Europa a 50 chilometri da Copenaghen, ci arriva in anticipo e fino al 20 gennaio propone una bella mostra interdisciplinare che si intitola semplicemente The Moon. «From Inner Worlds to Outer Space», recita il pay-off, poiché ben prima della sua scoperta, la luna ha sempre avuto un posto di rilievo nell'immaginazione della specie umana. In fondo, basta alzare lo sguardo al cielo e lei è sempre lì.

E pensare che dopo l'attesissimo sbarco, dopo le parole in diretta tv di Tito Stagno «ha toccato!», dopo le successive missioni americane proseguite negli anni 70, l'interesse si è via via affievolito. Ora che è passato tanto tempo ci si accorge quanto quelle passeggiate degli astronauti abbiano contribuito a modificare la nostra percezione dello spazio, introducendo per la prima volta una prospettiva dal di fuori: «la terra vista dalla luna» per dirla con Pasolini e Totò. E ancora ci soccorre il cinema, mesi fa è uscito The First Man di Damien Chazelle sulla storia di Neil Armstrong e sono stati appena ripubblicati per Rizzoli gli scritti della Fallaci La luna di Oriana. Non solo revival, dunque, se ne sta riparlando, insomma, dopo un lungo abbandono in cui la luna è stata «un luogo indefinitamente riflesso nelle immagini che ce lo hanno raccontato e un oggetto mediatico da rievocare, privo di interesse e forse persino privo di realtà: luna assorbita nell'insignificanza» (Stefano Catucci, Imparare dalla luna).

Più suggestivo, allora, ripercorrere lo sguardo insistito dell'arte. Dal Romanticismo ai giorni nostri è l'itinerario che propone la mostra danese, divisa in sezioni che vanno dal chiaro di luna al mito, dalla selenografia allo sbarco fino alle realtà virtuali. Con opere, citazioni letterarie Saffo, Borges, Sylvia Plath, Emily Dickinson, Whitman, Lawrence, Pessoa, Calvino- e analisi scientifiche. Per quanto riguarda l'Ottocento, l'attenzione si sofferma soprattutto sulla pittura del nord, l'inglese Wright of Derby e l'immancabile Caspar Friedrich, per registrare l'accrescere dell'immaginario in coincidenza della nascita del cinema e lo sviluppo delle avanguardie, che insieme alla scienza definiscono l'ingresso nella società moderna. Ecco dunque i montaggi fotografici di Man Ray, i paesaggi gelidi di Edvard Munch, le visioni surrealiste di Ernst e Dalì, le sperimentazioni del Picasso cubista. Luna, più che altro evocata, rispetto alle descrizioni realistiche del secolo XIX.

Certo le testimonianze più interessanti di quanto l'uomo abbia atteso l'allunaggio come l'espansione interspaziale del mito della frontiera, in un'epoca, tra gli anni '50 e '60, in cui ci sentivamo al centro dell'universo a parlare di futuro e di progresso, lo testimoniano diverse opere allora realizzate. I collage pop di Richard Hamilton e le serigrafie della serie Stoned Moon di Robert Rauschenberg, l'Untitled bicromo di Mark Rothko (capolavoro), uno dei suoi ultimi quadri, i Planetary Relief a tre colori, bianco, rosa e blu, di Yves Klein. Al Louisiana l'arte italiana si limita all'ambiente di Fabio Mauri, una stanza percorribile dove ai visitatori viene proposta l'esperienza della difficoltà dell'equilibrio, come chi cammina attratto dalla forza di gravità. Ci sarebbero stati bene altri lavori, ad esempio un'Amalassunta di Licini, una Superficie lunare di Turcato, un Paesaggio TV di Schifano, ma si sa lo sguardo degli stranieri nei confronti della nostra arte è sempre piuttosto pigro.

Che l'avventura non sia finita lo dimostrano quelle opere post '69, dove la scienza si è trasformata in fantascienza a evocare un mondo post-apocalittico conseguenza dell'antropocene: le foto di Darren Almond, l'installazione di Rachel Rose, i cabinets contenenti falsi reperti di Tom Sachs.

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