L'atroce destino dei greci d'Anatolia

Un classico di Didò Sotirìu racconta quella feroce pulizia etnica

L'atroce destino dei greci d'Anatolia

I greci la chiamano Mikrasiatikí katastrofí, catastrofe dell'Asia Minore, e il suo epilogo finale e devastante andò in scena nel 1922, cento anni fa. Ma le origini di questa tragedia, incarnata dalla città di Smirne che brucia, mentre 30mila cristiani perdono la vita tra le fiamme o gettandosi in mare, affondano ben più indietro nel tempo. Per capire bene come è nata la Catastrofe dell'Asia minore, che si è svolta in parallelo al genocidio degli armeni ma è molto meno nota, niente di meglio del romanzo appena pubblicato per i tipi di Crocetti Editore Addio Anatolia (pagg. 308, euro 18) di Didò Sotirìu (1909-2004). Questo romanzo è notissimo in Grecia, come la sua autrice, che nell'Anatolia turca nacque e, come moltissimi altri (più di un milione), dovette abbandonarla nel 1922.

Ma facciamo un passo indietro, a prima di quanto Didò Sotirìu - scrittrice apprezzata da André Malraux, André Gide e Louis Aragon - racconta così bene.

Sin dall'antichità le coste dell'Asia minore erano abitate da popolazioni di lingua ed origine greca. La convivenza con le popolazioni musulmane e turche non era sempre facile ma era basata su una secolare tolleranza. Questo è il mondo in cui si muove Manolis, il protagonista del romanzo. Figlio di un testardo contadino greco questo ragazzo, intellettualmente dotato, viene mandato a Smirne a lavorare e a provare la carriera del mercante. Nel suo percorso, tra crisi e lisi, si accorge di un sacco di cose. Del mal funzionamento dell'apparato amministrativo turco, del fatto che i greci d'Anatolia controllino un bel pezzo di economia, facendo anche qualche bella porcheria ai contadini dell'interno, del senso di superiorità che cova nella sua gente, del sospetto perpetuo che serpeggia tra i musulmani.

Ma tutto «si tiene» sino a che non arriva la Prima guerra mondiale, al massimo vola qualche schioppettata tra gendarmi e contrabbandieri greci. Ma il conflitto cambia tutto. La Grecia è vicina all'Intesa, gli Ottomani scelgono di schierarsi con Germania e Austria. E la guerra volge al peggio. In questa situazione ci si può fidare dei cittadini di origine greca? No.E allora li si ficca in battaglioni di lavoro in cui le condizioni di vita sono spaventose. E più questi si ribellano più cresce il sospetto. Finisce così anche il povero Manolis, che alla fine sarà costretto a fuggire e a darsi alla macchia. In più arrivano le grandi banche tedesche. Vorrebbero controllare l'economia turca, ma l'economia turca è in buona parte in mano ai mercanti di origine greca, sarebbe bello se sparissero... In breve l'odio divampa... E quando la Turchia perde la guerra, ormai i greci vorrebbero la grande rivalsa. Chi parla greco si fa sedurre dalla Megali Idea, il sogno di una grande Grecia. Nel 1919, le forze di Atene sbarcano in Anatolia. Manolis vorrebbe soltanto giustizia ma si ritrova a portare la stessa divisa di uomini che uccidono indiscriminatamente, esattamente come i militari e i miliziani turchi.

Nel frattempo la situazione politica cambia. La nuova Turchia post imperiale trova alleati. Alla fine una tremenda mazzata militare cala sull'esercito greco. E a quel punto scoppia una folle indiscriminata vendetta. E Smirne brucia.

Il romanzo, attraverso le peripezie del giovane Manolis, e della sua martoriata famiglia, permette al lettore di vedere da vicinissimo la fine di un mondo.

Il tutto senza indulgenze al nazionalismo né di una parte né dell'altra. E senza semplificazioni. Ne esce un quadro di straziante tristezza che mostra come sia facile «incendiare» un territorio dove da secoli si pratica la convivenza.

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