Cultura e Spettacoli

L'ebreo e il palestinese scambiati nella culla che sconfiggono l'odio

"Il figlio dell'altra", diretto da Lorraine Levy, tratta un tema difficile con toni lievi e sagaci

L'ebreo e il palestinese  scambiati nella culla che sconfiggono l'odio

Il cinema non cambierà il mondo ma può aiutarci a vederlo da un'angolazione diversa. E ad imparare a dialogare anche laddove i muri sembrano rendere tutto ciò impossibile. Giovedì, nelle sale italiane, esce Il figlio dell'altra, esempio di come la settima arte possa anche trattare temi scabrosi coniugando levità a intelligenza. Il film è un ritratto familiare esemplare inserito sullo sfondo dello storico conflitto tra israeliani e palestinesi. Liquidata in questo modo, si potrebbe pensare all'ennesima pellicola politica. Non è così. O almeno, ciò è vero ma solo in minima parte. Perché il film diretto da Lorraine Lévy, sorella del celebre scrittore francese Marc, l'autore transalpino contemporaneo più letto al mondo, è una matrioska di sorprese. Ogni scena è un incanto diverso, ogni dialogo è uno spunto di riflessione, ogni personaggio una lezione di vita.

Già l'idea di fondo è accattivante. Il giovane Joseph, un israeliano, fa gli esami del sangue per entrare nell'esercito. Il referto, però, è sconvolgente. Il suo gruppo sanguigno è, infatti, incompatibile con quello dei genitori. Dopo una ricerca, la verità viene a galla: Orith (la strepitosa Emmanuelle Devos) e Alan, militare israeliano, non sono biologicamente la sua mamma e papà. Tutto risale alla Guerra nel Golfo, quando all'ospedale di Haifa, durante una evacuazione, due bimbi (l'altro, palestinese, si chiama Yacine) vennero scambiati per sbaglio ed affidati ai genitori errati. Già di per sé questo è un dramma; ma provate ad immaginare lo stato d'animo di questi due ragazzi nello scoprire non solo di non essere cresciuti con le loro vere famiglie ma addirittura di appartenere «agli altri», a quelli cioè che, fin da piccolo, ti hanno insegnato a temere e odiare. Joseph è, dunque, palestinese, Yacine è israeliano; cosa ne facciamo di tutti i condizionamenti sociali e religiosi che hanno accompagnato la crescita dei due?

I giovani, in certe cose, hanno più saggezza degli adulti (o sono meno condizionati) e così i due ragazzi, pur tra tante ostilità (il fratello maggiore di Yacine inizia ad odiarlo perché è un israeliano mentre la comunità religiosa non accoglie più Joseph perché è un palestinese) cercano di conoscersi, di entrare nelle rispettive realtà, trovando un punto di incontro, imparando a dialogare, finendo addirittura per diventare amici. Sono l'esempio, secondo la Levy, di una generazione che non è votata a nutrire odio nei confronti degli altri ma che desidera solo avere una adolescenza spensierata. E' un primo messaggio importante che il film trasmette, passaggio ideale per abbattere non solo il muro di cinta che separa i due popoli ma ogni «muro» che, anche nel nostro piccolo, divide e soffoca. Indipendentemente da chi abbia torto o ragione, perché alla Lévy questo interessa relativamente. Non a caso, grazie ad un sorprendente equilibrio narrativo, i due ragazzi finiscono per avere, nel film, uguale spazio. «Per me, l'unico modo sensato di affrontare questo soggetto era mantenere un atteggiamento di umiltà e raccontare soprattutto la storia di tutti i giorni - ha spiegato la regista -. Non la Storia con la S maiuscola che può esacerbare gli animi e le situazioni. Non ho mai avuto intenzione di fare un film politico, anche se alla fine lo è, mio malgrado».
L'altra chiave con la quale leggere la pellicola è il ruolo delle madri. Sono loro che, pur nella sofferenza inevitabile di una situazione sconvolgente, prendono il coraggio e fanno il primo passo. Sono loro che dialogano partendo dal presupposto che non possono rinnegare improvvisamente ciò che hanno amato più della loro vita ma neanche fingere che l'altro figlio, il tuo, non ci sia. Un cuore di mamma può battere doppio e più forte dell'orgoglio maschile, ben rappresentato dai due rancorosi padri. «La donna - come ha sottolineato la Lévy -, rappresenta il futuro dell'uomo e quando le donne si alleano possono spingere gli uomini a essere migliori».

E un augurio che giriamo a tutti quelli che vorranno vedere questo gioiellino di film.

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