Cultura e Spettacoli

È l'eros della letteratura l'antidoto al pensiero unico

Ormai il sesso è screditato: banalizzato sui social e odiato dai fanatici. E gli scrittori non ne parlano

È l'eros della letteratura l'antidoto al pensiero unico

Viviamo in un'epoca schizofrenica. Guardatevi intorno: sottintesi richiami sessuali sono presenti dovunque, nelle immagini pubblicitarie, nella moda, nel gergo di tanti programmi televisivi, nei blog degli influencer, nei social che, mi dicono, non pochi usano per avances il cui scopo non è propriamente ritrovarsi e fare amicizia. Il sesso dei nostri giorni è pervasivo, banale, screditato, senza eros e senza senso. E alla fine colpevole e colpevolizzato. Hanno un carattere esplicitamente sessuale i più clamorosi, sconvolgenti scandali del nostro tempo. Rischia di scricchiolare sui suoi fondamenti la più antica e nobile istituzione dell'Occidente, la Chiesa Cattolica, per molestie e abusi commessi da una parte sia pur minoritaria dei suoi sacerdoti. Il movimento Metoo è nato dalla esigenza di sollevare il coperchio sulle prevaricazioni sessuali subite da attrici di Hollywood: che per altro è sempre stata sul pianeta la più grande fabbrica di sogni e di fellatio (così mi sembra che suggerissero Marilyn Monroe e Marlon Brando). È sacrosanto che in tutti gli ambienti di lavoro, e soprattutto in quelli meno ricchi e più lontani dai riflettori dei media, le donne siano al riparo da ogni prepotenza maschile. Ma ora il movimento Metoo, in un'ondata di neopuritanesimo fanatico, rischia di mettere in discussione e di riscrivere con regole di una etichetta insostenibile, forse ipocrita, i rapporti tra uomini e donne e in genere tra esseri umani in amore. Troppi vegani del sesso sembrano odiare la carne.

In una realtà dove si manifestano tutte queste contraddittorie pulsioni, gli scrittori, la letteratura, cui è toccato da sempre il compito di indagare in profondità ciò che lega un essere umano a un altro e alla società cui appartiene, stanno tacendo. Nessuno o quasi sembra voler più prendere il sesso come tema di riflessione e di invenzione artistica. Nel secolo passato, invece, autori importanti hanno focalizzato sul sesso molte delle loro pagine: per comodità, li distinguerò in almeno tre principali tendenze. La prima è quella del sesso peccaminoso, la seconda quella del sesso profanatorio, la terza quella del sesso redentore. Alla prima appartiene, esempio sommo, Lolita di Nabokov, e poi pagine di Saul Bellow, di Bernard Malamud e quel Lamento di Portnoy di Philip Roth che esplose sotto gli occhi della mia generazione con una forza insieme castrante e liberatoria. In Italia, penso alla lucidità delle pagine sul sesso di Moravia, a certe analisi della casistica amorosa sottili e candidamente morbose di Soldati, a Buzzati che con il suo Un amore fece strabuzzare gli occhi ai suoi lettori, che lo amavano per i suoi romanzi allegorici e fantastici.

La seconda tendenza è di matrice francese: già Baudelaire scriveva che «nell'atto d'amore c'è molta somiglianza con la tortura o con un'operazione chirurgica». E comprende libri estremi e coltissimi come quelli di Georges Bataille, poetici e clandestini come Le con d'Irene di Louis Aragon (l'unica traduzione possibile è «La fica di Irene»), decisamente e raffinatamente pornografici come quella Storia di O che pure matura nell'ambiente più alto e sofisticato della cultura parigina, tra Dominique Aury, che lo pubblicò con lo pseudonimo di Pauline Réage, e Jean Paulhan, che lo sostenne e scrisse una prefazione dal titolo «La felicità nella schiavitù». Su tutto aleggia l'ombra sovrana di De Sade.

L'ultima tendenza è molto diversa dalle prime due: è una tendenza eretica rispetto al pensiero e allo stile letterario dominante, si mette in polemica con la contemporaneità e arriva a concepire il sesso, nel deserto nichilista e disperato dell'Occidente, come una via di uscita dalla crisi e una fonte insostituibile di energia vitale. Sono, come li chiamò Norman Mailer in un suo battagliero saggio del 1971, i «prigionieri del sesso». E si chiamano David Herbert Lawrence, Anaïs Nin, Henry Miller, autori contro cui si appuntavano allora le critiche feroci delle femministe e che oggi, in tempi di Metoo e di correttezza politica, potrebbero sparire, o forse sono già spariti, dalle università americane. Ma qual è il torto di Lawrence, o di Miller, legato a Anaïs Nin in una storia straordinaria? Quello di essere profeti non soltanto del declino dell'Occidente ma anche della fine dell'umano nella civiltà tecnologica, e di aver scritto per difenderne i valori, esaltando il sesso e la carne come via di accesso a una ritrovata vitalità primordiale, Lawrence in una grandiosa sintesi di realismo e simbolismo, come in Donne innamorate, Miller fondendo addirittura oscenità e spiritualità nei suoi due Tropici.

Non ho mai nascosto che per me, quando si parla di eros, i maestri sono loro. I vegani del sesso, i fanatici di una purezza che non esiste, chissà che colpa me ne fanno.

Ma io credo davvero che proprio oggi bisogna rileggere chi ha dato spazio alla sacralità della carne e della natura, all'energia dello spirito, allo slancio verso il futuro e all'amore in tutte le sue forme: contro chi ci vorrebbe zombie asessuati, larve virtuali, corretti esecutori degli ordini di un pensiero unico, cieco e mortifero.

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