«Ma quel principe è una femmina!» osserva stupito Niccolò, anni 8, incredulo che sia una ragazza dai capelli lunghi a svegliare la bella Rosaspina addormentata della omonima favola dei Fratelli Grimm e non un bel giovane come gli avevamo detto. Nella versione di Emma Dante, pensata per un pubblico di bambini, il genere sessuale non è che un pretesto e dunque poco importa se sia un uomo o una donna a infrangere l'incantesimo del sonno, quanto piuttosto una persona che ti ama e ci tiene a te. Questa almeno la spiegazione offerta dalle giovani attrici della regista siciliana nella messa in scena torinese alla Casa del Teatro Ragazzi. Niccolò ascolta ma non è convinto e ribadisce il suo pensiero, che a baciarsi sulla bocca debbano essere per forza un maschio e una femmina.
Nessuno scandalo, per carità. Nessuna provocazione glamour tipo pomiciata saffica tra Madonna e Britney Spears. Lo spettacolo fila bene, belle musiche, attrici brave, tanto colore. Resta però un dubbio: siamo ormai così ossessionati dal politicamente corretto da dover mettere in discussione persino una fiaba. Ci interessa sapere se Leonardo e Michelangelo fossero gay o etero, se Andy Warhol praticava la bisessualità o il voyeurismo, inseguiamo gli amori infelici di Sylvia Plath e leggiamo quadri e film utilizzando le categorie dei sessuologi, più di quelle estetiche. Con la differenza che i gusti in materia di letto dell'inventore della Gioconda o della Zuppa Campbell non hanno apportato alcun elemento decisivo nel lavoro. Al contrario è molto probabile che senza l'amore e il sesso esplicito tra due donne il film La vita di Adele di Kechiche premiato a Cannes non avrebbe ottenuto la stessa attenzione. Il lesbo chic invade anche i territori dell'infanzia.
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