Dieci anni fa l'ossessione riguardava John Walker Lindh, il «talebano americano»: Ernesto Aloia comprese prima di molti come gli adolescenti europei potessero fare di un incubo un'utopia. Nel suo esordio I compagni del fuoco un romanzo su «Geopolitica, angst adolescenziale, vita di coppia, bassezze da ambiente di lavoro, islam, ambizione, fallimento, amore e disamore», come scrive Marco Drago nella nota introduttiva all'unica edizione oggi disponibile, l'ebook di Laurana lo scrittore bellunese Aloia ebbe una visione profetica sui rischi identitari creati dalla diffusione globale del fondamentalismo. Oggi, con La vita riflessa (Bompiani, pagg. 300, euro 18), Aloia porta in libreria un'altra ossessione: la trasformazione da individui sociali a individui soli eppure social. Le vicende narrano di Marco, funzionario di una banca globale per nulla trasparente, e di Greg, matematico e informatico prestato alla finanza. I due, vecchi amici ritrovati, grazie a un investitore senza scrupoli trovano i fondi per realizzare Twins, un social di seconda generazione, che, grazie a un successo planetario, modifica radicalmente gli stili di vita collettivi. Anche stavolta, il romanzo è ad alto contenuto profetico e cerca di indagare il futuro dei social da un punto di vista inedito: come e se possano «restituirci» la nostra identità perduta.
Da dove è partito per dare vita a Twins?
«Il punto di partenza del romanzo preesiste al tema dell'identità digitale: riguarda la questione dell'identità tout court. Marco, il mio protagonista si chiede: Chi sono, che cosa sono diventato, chi sono quando parlo da solo?. E così decide di intraprendere un disperato tentativo di formazione al contrario: tornare indietro nel tempo, tornare a un vecchio amico, condividere con lui un progetto».
«Twins. Riprenditi il gusto degli altri», questo è lo slogan. Quanto l'identità digitale minaccia l'identità reale nelle relazioni?
«Ho un dubbio: ha ancora senso distinguerle?».
Ce lo dica lei.
«Tutto ciò che avviene è riversato in tempo reale nel mondo digitale: fotografiamo, registriamo, scriviamo tutto quel che accade. Allo stesso modo il digitale si riversa su di noi: passiamo il nostro tempo reale incollati a un display. Che senso ha distinguere i due mondi? È una convenzione generazionale che, per i più giovani che hanno sempre usato i social network, non ha più alcun significato».
Sembra semplice.
«La questione è un'altra: la nostra identità viene definita anche dalle relazioni. Ora, mentre prima queste erano un numero finito e conosciuto, ora migliaia di relazioni con sconosciuti ci danno la misura di noi stessi. Quando pontifichiamo su Facebook su un argomento qualsiasi, lo facciamo per affermarci e definirci».
Rischi?
«Ci stiamo abituando, e affezionando, a una modalità di relazione parziale: se sono amico di qualcuno su Facebook vedo solo la parte della sua vita che lui, e altre centinaia di persone come lui, vogliono mostrare. E finisco col pensare che questo significhi avere delle relazioni».
I social hanno cambiato anche il romanzo?
«Hanno cambiato il modo di raccontare le storie. Perché le storie son fatte di relazioni. Ma le relazioni in senso proprio rimarranno al centro dell'attenzione degli scrittori, perché la velocità e superficialità stessa delle relazioni digitali non sono interessanti dal punto di vista narrativo».
Nel cinema gli esempi di distopia digitale non si contano: Her e Blade Runner 2049 tra gli ultimi. Che cos'ha il suo social «Twins» di diverso dagli altri?
«Twins è un ultrasocial che crea una identità digitale tridimensionale più ricca e definita di quelle fornite dai social esistenti. La sua caratteristica è dialogare con l'utente stesso oltre che con le altre identità esterne. Sfrutta l'io ideale che si crea nella proiezione di sé nei social, la proiessenza. Se il titolare dell'account non vuole rischiare, il suo Twin vive per lui. È un'identità digitale potenziata».
Sembra spaventoso. E se dovesse accadere davvero?
«Non possiamo sapere come si evolverà il gigantesco esperimento sociale in corso. La conseguenza più grave della connessione 24/7 rimane la distruzione della concentrazione, pilastro del nostro paradigma culturale. Tutti i nostri prodotti artistici si basano su questo valore primario: che cosa sono una sinfonia, un romanzo, un quadro senza attenzione? Riusciremo a creare altri oggetti culturali di pari valore?».
Anche nei Compagni del fuoco l'identità culturale era messa a rischio: dal contatto con il fondamentalismo.
«Ne La vita riflessa lo smarrimento dei confini tra reale e digitale configura uno scenario in cui a soccombere sono le identità reali più deboli, che percepiscono quelle digitali come più compiute e sviluppate. Ne I compagni del fuoco raccontavo come il contatto con culture diverse ci faccia mutare. E in maniera non indolore. Il rischio nasce quando si perde il contatto con la propria, di cultura: è pacifico ed essenziale che si cerchi una base comune di convivenza, ma ciò è possibile solo a patto di non dimenticare chi siamo».
È raro che gli scrittori italiani affrontino temi globali. È da anticonformisti essere contemporanei?
«In Italia lo scrittore napoletano deve parlare di Napoli, il sardo della Sardegna magica e arcaica: insomma, ci si aspetta un prodotto locale. Ci sono romanzi italiani che potrebbero essere stati scritti dieci anni fa.
I compagni del fuoco era un libro in controtendenza, che non solo si è rivelato attuale in un momento in cui i foreign fighters non erano un tema diffuso, ma profetico. Tanto profetico che, quando uscì, ha finito per non interessare nessuno».
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