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"Ci si vergogna della commedia. Si sentono tutti Wim Wenders"

Enrico Vanzina presenta il nuovo film ma polemizza con i giovani autori: "Non sono spiritosi"

"Ci si vergogna della commedia. Si sentono tutti Wim Wenders"

La commedia all'italiana, sempre lei. Ha stufato, non funziona, deve morire. Come sono morti certi suoi padri nobili, Mario Monicelli e Dino Risi. Anzi, no: deve cambiare. Comunque, non se ne può più, sostengono gli addetti ai lavori: dal critico Paolo Mereghetti alla direttrice del festival di Roma, Piera Detassis, è un corifeo unanime: pollice verso e andiamo avanti. Ma non verso i filmetti corali così così. Qui ci vuole autocritica. E serio talento. Perché gli incassi miserabili parlano chiaro e gli attori, sempre gli stessi, puoi vederli 4/5 volte nello stesso anno: se loro, così, alzano la propria posta contrattuale, gli spettatori hanno le tasche piene di tanto déja vu . E disertano le sale. Parliamone con Enrico Vanzina, che ha scritto la nuova commedia diretta dal fratello Carlo, Torno indietro e cambio vita , storia di due quarantenni che prima si separano, poi tornano insieme.

Commedia all'italiana: è morta, o è solo svenuta?

«Quest'anno non ho ancora visto un bel film italiano e ciò è preoccupante. Nessun film m'ha fatto intravedere strade nuove, o piene di contenuti. Diciamolo: è un'annata molto moscia».

Qualche speranza?

«Speriamo negli autori: Sorrentino, Garrone e Moretti, che possono far ripartire il cinema italiano su altre strade, non di commedia. La realtà è che, finora, non c'è stato un bel film italiano, ma neanche un bel film straniero. C'è una buona medietà, ma nessuna punta. Un'annata da dimenticare. Anche se abbiamo ancora cinque mesi davanti. E poi c'è un paradosso».

Quale?

«L'unica, vera commedia all'italiana è il film francese Non sposate le mie figlie . Un gran bel film, che racconta in maniera lieve qualcosa di drammatico: il razzismo. Che serpeggia anche da noi. Vedi il film e ti mordi le mani: perché non l'ho fatto io? Una pista percorsa dai francesi, con successo, già dai tempi di Quasi amici . Anche noi italiani avevamo preso questa strada, poi l'abbiamo abbandonata».

Per quale motivo?

«Per via dell'ideologia. I grandi autori non davano mai giudizi morali. L'autore non deve stigmatizzare. Purtroppo, nella nostra società l'ideologia è ancora molto forte. Ancora abbondano le commedie in cui ci sono i Buoni e i Cattivi, il Bene e il Male. Quest'atteggiamento spegne la commedia. Ricordiamoci Sordi, Manfredi, Tognazzi: quanti personaggi negativi, ma guardati sempre con affetto non assolutorio. Tutto questo non c'è più. Perché i giovani affrontano la commedia, senza i fondamentali. La commedia all'italiana è un soggetto drammatico, raccontato in chiave comica».

Oggi la commedia all'italiana gira sul perno dell'amore: non funziona?

«Certo che no. Ragazzini e ragazzette che si amano, si raccontano storielle d'amore. Non se ne può più. Almeno Dramma della gelosia era caustico, irriverente. In più, assistiamo a una perdita d'identità: si fa un cinema happy hour. Ragazzini che bevono, in giro per l'Europa. Manca il giovane Verdone, o il giovane Moretti. Non c'è un film italiano che ci racconti il mondo dei giovani. Perché, poi, i ragazzi si divertono pure. Mica stanno tutto il tempo a piangere sul loro futuro rubato!».

Eppure, qualche commedia generazionale c'è stata...

«L'ultima ch'io ricordi è Che ne sarà di noi di Sandro Veronesi: era un film generazionale preciso. Manca, ripeto, il film fatto da un venticinquenne che racconta la sua generazione. Ma è anche colpa dei media».

In che senso, sarebbe colpa dei media?

«I media tendono a guardare alla commedia all'italiana come alla parente povera, come fosse un sottogenere. Così, i giovani cineasti mirano a fare Wenders, scartando un certo modo di raccontare la vita. Magari Sydney Sibilia l'ha fatto un po'. Ma il suo era più un film alternativo. Manca Un sacco bello ».

Manca pure la classica figura dell'amante, che spopolava nei '60 e '70. Come mai?

«Perché le donne hanno preso coscienza: non vogliono più fare le amanti, a disposizione degli uomini riccastri. È un fatto sociologico».

Chi è che va al cinema, oggi?

«È evidente che abbiamo perso il pubblico dei giovanissimi, a parte qualche caso. Parlo di 50 sfumature di grigio o di Hunger Games , visti dallo stesso pubblico tra i 14 e i 17 anni, che amava Twilight . I nostri autori, quindi, dovrebbero rendersi conto che il loro pubblico è costituito dagli over 45. Che stanno tornando al cinema, perché stufi della tv. E poi, bisogna essere spiritosi».

Non sono spiritosi gli attuali autori delle commedie all'italiana?

«Risi, Comencini e mio padre Steno, sì, erano spiritosi. Oggi molti autori girano la commedia, ma non sono spiritosi.

Mentre una volta gli attori si prendevano sulle spalle il film, oggi la debolezza degli attori fa sì che si producano commedie corali, ma in realtà non c'è nessuna maschera. Solo figurine un po' così. E poi c'è saturazione: alla fine, sono sempre gli stessi».

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