L'OPINIONE

Non avendo posizioni preconcette e anzi parteggiando per le nostre idee perfino quando sono gli altri a metterle in pratica, salutiamo con gioia il decreto per il credito d'imposta destinato ai cinematografi piccoli e medi, voluto dal ministro della cultura Dario Franceschini. Grazie a questa norma il 30% delle spese sostenute nel 2015 e nel 2016 per il ripristino di sale inattive, l'aumento di schermi, la ristrutturazione e l'adeguamento tecnologico di cinema storici, cioè esistenti prima del 1980, costituiranno un credito di imposta per un importo massimo di 100mila euro da scaricare in tre anni. In soldoni, reputando le piccole sale/cinema spesso l'unico presidio culturale in molti paesi, si cerca di sostenere gli esercenti che con sacrificio continuano a tenerle aperte e in funzione. Ovvio che si tratta di un solo passo, ma ogni lungo viaggio - dice il saggio - comincia con un passo. Un viaggio che secondo noi dovrebbe portare nel più breve tempo possibile a introdurre sistemi di defiscalizzazione in ogni settore della cultura, col duplice effetto da un lato di smettere la sudditanza di chi deve chinare il capo (spesso felicemente) per ottenere il finanziamento diretto, dall'altro di mettere in moto un meccanismo economico virtuoso in cui i privati investono e il pubblico ripaga col credito di imposta. Per il cinema - un'industria privata che altrove (vedi gli Usa o l'India) produce utili e non drena risorse - il meccanismo si è messo in moto a partire dal tax credit.

In altri importanti mondi no: vedi il teatro, per il quale anche l'art bonus ha introdotto qualche novità solo per gli spazi pubblici, lasciando i privati (teatri e compagnie) da soli. Forse perché il teatro ancor più del cinema è luogo di coscienza civica e libertà, una libertà che forse lo Stato e la politica ancora temono.

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