Lost in Space: fantascienza e sentimenti da mescolare meglio

In Lost in Space la fantascienza incontra i sentimenti, senza entusiasmare più di tanto e ingannando lo spettatore dopo un grande primo episodio

Lost in Space: fantascienza e sentimenti da mescolare meglio

Lost in Space è una serie tv sci-fi di Netflix, remake dell’omonima produzione del 1965, che ha avuto anche una versione cinematografica con Gary Oldman nel 1998. Come per altre serie tv di Netflix, anche in questo caso l’involucro è bellissimo, ma con il susseguirsi delle puntate il contenuto delude le aspettative.

Nel 2046 la vita sulla Terra diviene impossibile. Lo schianto di un "meteorite" e l’aria divenuta irrespirabile spingono gli abitanti del Pianeta ad abbandonarlo, destinazione: Alpha Centauri. Non tutti possono andare, solo la crème de la crème, solo chi è riuscito a superare test psico-fisici elevati, tali da renderlo idoneo alla sopravvivenza nello spazio, è ammesso al viaggio per arrivare alla "nuova casa". È proprio il viaggio il problema ed è qui che iniziano le disavventure della famiglia Robinson, i protagonisti della serie.

Lost in Space ci inganna. Il primo episodio della serie ci presenta una storia mozzafiato, i primi minuti ricordano a tratti The Martian di Ridley Scott. La puntata continua con nozioni scientifiche e non, come il riferimento a "Moby Dick" e la lettura delle prime parole del libro. Dalla seconda puntata in poi si capisce cosa realmente sia Lost in Space: una serie tv sull’amicizia tra un bambino (Will Robinson) e un alieno-robot, condita da sentimenti scontati sull’unione di una famiglia che, per ritrovarsi, ha bisogno di perdersi nello spazio. Il tutto con tono sollevato e scanzonato, come se essere sperduti dall’altra parte dell’universo in preda ad eventi sconosciuti non fosse niente di che. Ciò nonostante ci siano momenti dell’amicizia tra Will Robinson e il robot-alieno che toccano, ma questo è giocare con i sentimenti dello spettatore, non creare una trama avvincente per coinvolgerlo.

In definitiva, l’aspetto più interessante della serie è il personaggio di Parker Posey - nel ruolo che nel film del 1998 fu di Gary Oldman - che nei panni del villain di turno è l’unica variabile che può irritare lo spettatore e quindi suscitare qualcosa in chi guarda. Anche Benjamin Linus in Lost fu odiato, poi con il tempo è diventato uno dei personaggi più amati della serie. Con i dovuti distinguo, si può dire lo stesso del personaggio interpretato da Parker Posey, sottolineando così che il vero pericolo non sono gli alieni, lo spazio o elementi sconosciuti, ma l’uomo. Per sperare che qualcosa di interessante accada non rimane che fare il tifo per il cattivo quindi.

Per avere quello che offre "Lost in Space" non c'era alcun bisogno di andare lontani anni luce dalla Terra e perdersi nello spazio. Anche perché quel senso di desolazione tipica dello spazio, dove altri titoli hanno saputo evidenziare le riflessioni esistenziali dell’uomo, non lo si avverte minimamente.

Con questo non si vuole dire che Lost in Space doveva cercare di essere la versione serie tv di Interstellar - ovviamente il pubblico di riferimento è un altro - ma di certo qualcosa di più si poteva ricavare da questa storia. Il rischio è che venga dimenticata presto.

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