Lucarelli in un debutto pasticciato

Lucarelli in un debutto pasticciato

Per il debutto dietro la macchina da presa Carlo Lucarelli sceglie uno dei suoi romanzi più apprezzati: L'isola dell'angelo caduto (Einaudi), giallo a tinte fosche ambientato su un'isola-penitenziario ai tempi del Fascismo. E tale rimane anche sulla pellicola, salvo per un dettaglio: sulla carta si può essere molto più audaci che dietro la macchina da presa. È lo stesso Lucarelli ad ammetterlo: «Gli scrittori sono alchimisti, i registi devono essere ingegneri». In questo caso il mix di suggestioni e di citazioni è troppo complesso e caotico e a rimetterci è la coerenza del racconto. In una sorta di Caienna nostrana approda un giovane commissario (Giampaolo Morelli) insieme con la moglie. Non fa in tempo a mettere piede a terra che deve fare i conti con la misteriosa morte di una camicia nera. Tutti dall'isola vorrebbero scappare tant'è lugubre e malinconica. Contro di loro però agiscono coloro che sull'isola hanno trovato una ragione esistenziale (anche se diabolica). Dopo il primo incidente mortale ne seguono altri. E solo l'aiuto di un anatomopatologo repubblicano (e per questo confinato sull'isola) aiuta l'inesperto commissario a fare luce sui delitti. D'altronde le atmosfere ricalcano più i fumetti di Tiziano Sclavi che le indagini di Montalbano. E il cattivo di turno (il bravissimo Gaetano Bruno nei panni del capetto fascista) si muove proprio come un licantropo psicopatico.

I richiami voluti a Shutter Island di Scorsese non riescono a salvare la pellicola e lo stesso regista ammette: «Il film è venuto proprio come volevo io. Se trovate che dentro ci siano troppe cose, o se sono pasticciate, la colpa è mia: ma essendo anche il romanzo firmato da me, almeno mi sono pasticciato da solo!»

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