Il falco e l'usignolo. Un amore impossibile. Un amore finito, tra i resti carbonizzati di un caccia Spad, il 19 giugno di cento anni fa.
Lui, il falco, era Francesco Baracca, l'asso degli assi dell'aviazione italiana con 34 nemici abbattuti. Lei, l'usignolo, era Norina Cristofoli, all'epoca una ragazzina sedicenne dalla bella voce, che poi sarebbe diventata una cantante lirica.
L'amore era sbocciato a Udine poco prima dell'offensiva di Caporetto, ad un ballo. Norina c'era arrivata quasi di straforo, una ragazza fra tante. Baracca, già famoso cavaliere del cielo, era la stella della festa. Ma tra tutte le belle dame presenti notò quella ragazzina dall'aria ingenua e pulita. Iniziarono a vedersi. Poi a separarli pensò l'improvvisa spallata austriaca che venne a fatica arrestata sul Piave. Baracca a combattere forsennatamente per appoggiare la resistenza dei fanti al suolo. Norina in fuga con migliaia di altri profughi e fortunosamente rifugiata a Milano.
Norina non era certo l'unica frequentazione femminile del Maggiore, ma in qualche modo il pilota del cavallino rampante alla ragazza si sentiva profondamente legato. Lo provano 13 lettere ritrovate che sono il cuore di Baracca. L'ultimo amore (Est Press, pagg. 272, euro 17), volume scritto da Eugenio Barbera e Domizia Carafòli.
Le lettere, che Norina ha conservato per tutta la vita e che sono state ritrovate a metà degli anni Novanta, consentono di ricostruire un pezzo di questa storia segreta, e i due autori le intessono sapientemente alla vicenda bellica di Baracca.
Quando il «falco» scrive «all'usignolo» non parla mai di guerra, quando tarda a rispondere si definisce «il tuo cattivo amico», rimpiange sempre «il nostro troppo breve idillio». Parla di futuro, «verrò a Milano», pochissimo di presente. Il futuro non ci sarà, il futuro si interrompe bruscamente sul Montello, vicino a Nervesa della Battaglia, e poco importa se ad abbattere Baracca sia stato fuoco da terra o colpi di mitragliatrice sparati dal biplano di Max Kauer e Arnold Barwig. Norina non lo vide tornare più. Pianse, crebbe, visse, tenne sempre le lettere che definiva il suo bene più prezioso.
Il cavaliere del cielo se ne era andato. Di lui restano quelle fotografie in cui è sempre fiero e bellissimo. Il ricordo del suo fair play anche in un gioco mortale: si presentava sempre in ospedale dai nemici abbattuti o deponeva un mazzo di fiori vicino alle carcasse dei loro aeroplani. Scriveva alla madre di odiare l'immagine degli aeroplani in fiamme. Un conto era precipitare, un altro bruciare...
Il suo Spad cadde in fiamme. Riuscì a prendere la pistola e a spararsi in un occhio per non essere lambito dalle fiamme come sostengono alcuni? Non lo sapremo mai davvero. Sappiamo solo che una ragazzina lo amò davvero.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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