Il maestro della narrativa d'avventura Wilbur Smith ha sempre amato costruire saghe importanti che potessero creare affezione fra i lettori. Fra queste si è accorto subito che il suo «Ciclo dei romanzi egizi» aveva qualcosa di davvero speciale fin da quando, nel 1993, lo inaugurò con un superbestseller come Il dio del fiume. Era stato un viaggio attraverso l'Egitto in navigazione sul Nilo a suggestionare lo scrittore e a portarlo a costruire quella storia che raccontava con toni epici il mondo dei faraoni. A quel primo romanzo hanno fatto seguito titoli come Il settimo papiro, Figli del Nilo, Alle fonti del Nilo, Il dio del deserto e L'ultimo faraone (pagg. 482, euro 19,90) che esce in questi giorni in libreria edito da Longanesi come i precedenti.
«I miei viaggi in Egitto sono stati una generosa fonte di ispirazione per questa serie spiega Wilbur Smith nella postfazione contenuta in quest'ultimo volume - L'Egitto è uno dei Paesi moderni con più storia alle spalle; basti pensare che l'Antico Egitto ha sviluppato alcune tra le prime forme di scrittura, di agricoltura, di religione e di governo. Tutti conosciamo la necropoli di Giza con le sue piramidi o la Valle dei re, ma ignoriamo ancora un'infinità di cose di quell'antico mondo. La nascita dell'Egitto risale a circa 3000 anni prima di Cristo; un vasto arco temporale che offre molto terreno fertile alla narrazione. E per questo che amo così tanto scrivere di questo periodo: ambientando i miei libri in un'epoca di cui sappiamo relativamente poco, la mia immaginazione può muoversi liberamente». Ed effettivamente, avendo deciso di raccontare nel suo ultimo romanzo L'ultimo faraone la sanguinosa lotta fra gli invasori hyksos e gli Egizi lo scrittore zambiano ha avuto molto spazio per la sua fantasia. Sugli hyksos e la loro origine si sa infatti ben poco.
Avere a disposizione degli avversari del genere ha permesso a Wilbur Smith di caratterizzarli come voleva lui, senza che nessun egittologo potesse dirgli che si era sbagliato nella sua ricostruzione storica. E così fin dall'incipit de L'ultimo faraone i lettori sanno che gli hyksos, al di là della loro vera origine etnica, sono «un popolo selvaggio e crudele». Usano tecniche militari superiori a quelle egizie e solo l'astuzia dello scriba, inventore e guerriero Taita potrà permettere al popolo del Nilo di arginare l'invasione e non soccombere. Resistere non basta e ora che anche il faraone Tamose giace ferito da una freccia nemica la difese dell'Egitto sembra un'impresa impossibile.
Wilbur Smith è bravissimo nell'architettare una trama bellica ricca di colpi di scena. Scontro dopo scontro Taita metterà tutto il suo coraggio e il suo ingegno al servizio del suo popolo.
Questo personaggio dalla lunga vita e dalle molte conoscenze ha molto in comune con Wilbur Smith che ammette: «con il passare degli anni ho capito che Taita è una sorta di mio alter ego». Un eroe che ha vissuto varie epoche e proprio per questo può essere «saggio, gentile, cortese ma persino crudele».
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