Andrea Caterini
Tommaso, protagonista e voce narrante de Il corpo di Napoli, libro con cui Giuseppe Montesano fu finalista al Premio Strega nel 1999, esordisce la sua narrazione filosofico-farsesca con un interrogativo: «ci stavamo chiedendo se la verità faceva bene alla vita o se invece la vita era fondata sulla menzogna». Per chi abbia familiarità con l'opera di Montesano sa che in questa domanda c'è la chiave giusta per entrarvi. L'autore de Il ribelle in guanti rosa - il romanzo-saggio su Baudelaire, il poeta che «si è consegnato a molte maschere» e di cui Montesano ha curato anche le opere per i Meridiani insieme a Giovanni Raboni -, tenta, nei suoi libri, di mettere assieme narrativamente, facendoli stridere e finanche esplodere in una dialettica senza fine e senza possibilità di risoluzione, Platone e Nietzsche. L'urgenza di Montesano è sempre stata capire come possano coesistere Apollineo e Dionisiaco, cioè ordine e disordine. Ma il suo vero cruccio, come dimostra in Di questa vita menzognera, è scoprire se sia l'ordine oppure il caos la verità (o meglio: la realtà) della vita. Dopo l'oceanico Lettori selvaggi (Giunti, 2016), Montesano torna ora in libreria con un pamphlet: Come diventare vivi. Un vademecum per lettori selvaggi (Bompiani, pagg. 190, euro 10).
Non si tratta di una semplice appendice a Lettori selvaggi, è piuttosto la ragione che lo sottende...
«Ho sentito il bisogno di comunicare alcune cose che mi sembrano essenziali, e in una maniera che potesse parlare a chiunque viva oggi e si senta soffocare da una modernizzazione che è solo di facciata. Dialogare con chiunque desideri quel potere vitale che c'è nei libri, nell'arte, nella musica. Oggi leggere è importante? No: oggi leggere è essenziale, più che mai. Essenziale a cosa? A vivere una vita più viva, più esaltata, più ricca di esperienza e di possibilità. Questo è il cuore del libro».
Se nei suoi romanzi le menzogne della vita erano una rappresentazione carnevalesca (in quel palcoscenico ideale che è Napoli), ora sviluppa il suo discorso attraverso un'analisi critica della condizione dell'uomo contemporaneo: sempre più connesso e ossessionato dal nuovo e sempre meno vivo...
«Ossessionato dalla chiacchiera, ecco come si presenta l'utente contemporaneo: ma la connessione attiva con realtà differenti, persone differenti e pensieri differenti gli sfugge. Alla fine di una giornata i cui interstizi sono stati imbottiti dal cliccare e digitare furiosamente, nell'individuo non resta più nulla di personale: in lui è entrata la chiacchiera di massa, e gli ha rubato se stesso. I neuroscienziati studiano da anni gli ossessi della digital life, e da anni avvertono che le capacità intellettive di comprensione dei coatti digitali decade quanto più praticano la lettura surf, ovvero di superficie, e quanto meno praticano la lettura profonda, quella che chiede ai neuroni uno sforzo di connessione mentale avanzato. L'ironia sta nel fatto che i dispositivi digitali, che potrebbero aprirci davvero strade innovative, diventano invece i mezzi con cui si formano i nuovi analfabeti emotivi e mentali, incapaci sia di avere empatia sia di capire qualcosa di scritto che non siano i propri tweet».
In Come diventare vivi troviamo un atteggiamento addirittura pedagogico, o forse educativo. E non è un caso che il libro sia dedicato ai ragazzi ai quali insegna Filosofia e Storia...
«In un mondo in cui tutti ci vogliono educare a tutto, ma soprattutto alla passività di pensiero e ai luoghi comuni, la parola educare è diventata quasi offensiva. Ricorda la caramellosità con cui i politici ci richiamano a essere cittadini bravi e belli mentre inaridiscono tutte le sorgenti alle quali potremmo attingere il bene e il bello. Ma nonostante una scuola riformata in modo totalmente dissennato e una società falsamente riformata, io credo molto nella possibilità di trasmettere qualcosa a chi ha abbastanza curiosità per non accontentarsi della chiacchiera dominante, moltiplicata nel chiacchiericcio onnipotente e narcisistico dei social. Staccarsi da ciò che fanno tutti e cominciare ad ascoltare e vedere e leggere cose diverse, mi sembra essenziale. Bisogna però entrare in contatto con gli altri umilmente, scoprendo che educare qualcuno vuol dire innanzitutto educare se stessi, e lasciarsi educare da altri e così via, senza mai smettere».
Immagino già qualche intellettuale che, leggendola, storcerà il naso, l'accuserà di retorica per aver impostato il discorso su concetti quali «amore», «verità», «realtà», «vita». Ma lei si oppone proprio a questa forma di cinismo, all'idea che non ci sia più nulla in cui credere...
«Non capisco a cosa serva il cinismo in un'epoca che è radicalmente cinica, al punto da non credere nemmeno in se stessa. È utile il cinismo? O è solo un modo per stare in un guscio protettivo? E non sarà meglio rompere i nostri gusci per entrare in contatto con gli altri? Una delle idee di Come diventare vivi è questa: la lettura dei grandi romanzi e della grande poesia, che è sempre intellettuale e passionale, rompe l'isolamento dell'egoismo e ci mette in contatto con vite diverse dalla nostra. La nostra vita singola è troppo poco per chiunque! E noi, grazie al potere enorme dell'immaginazione, diventiamo letteralmente gli altri: siamo le famiglie folli di Don DeLillo e le famiglie non meno folli di Dostoevskij; siamo gli enigmatici e familiari assassini di Simenon e siamo le vittime di quegli assassini con il loro dolore e la loro miseria; siamo felicemente perduti nella passione con Sándor Márai e siamo perduti e basta in Foster Wallace. Attraverso le vite altrui conosciamo di più la nostra vita. Dopo, siamo più pronti a scambi e a legami reali con gli altri, ma creativi e non mortuari: la lettura ci apre a una vita più piena».
Ciò che emerge in ogni pagina del suo libro è che il desiderio di conoscenza è qualcosa che non dobbiamo lasciare si esaurisca mai. Opporsi all'idea di aver raggiunto un qualche sapere (o aver accumulato un buon numero di opinioni) che possa essere sufficiente a sopravvivere.
«Il desiderio di conoscere è come il desiderio di vivere o di amare: non ha fine. Appena si è convinti di essere sapienti si è defunti. Lo sapevano benissimo Socrate e i Greci: chi sa di essere ignorante può cercare la conoscenza, ma chi presuntuosamente pensa di sapere tutto non cercherà più niente. Io mi schiero dalla parte degli ignoranti che cercano...».
La sostanza prima del suo libro è il racconto di come la lettura sia un modo per cambiare la nostra vita. Si riconosce in questa lettura?
«Sì. La prima volta che abbiamo letto, contemplato o ascoltato qualcosa di bello o di tremendo che ci ha affascinati e sconvolti, è un momento straordinario.
Abbiamo avuto la sensazione che ci accadesse qualcosa di reale, una metamorfosi del corpo e della mente che ci ha fatto sentire più vivi. A quella sensazione dovremmo essere sempre fedeli. Si legge per vivere: il resto non ci serve».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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